Mario P. Tosi (1932-2015)

Mario P. Tosi

Un maestro assoluto

Mario P. Tosi nacque a Milano, l’8 Settembre del 1932. “Se l’è no süpa, l’è pán bagná” era uno dei suoi motti preferiti in Fisica.

Allievo del Collegio Ghislieri dell’Università di Pavia, si laureò in Fisica sotto la guida di Fausto Fumi, allora Professore presso l’Università di Milano. Mario ha lavorato all’Argonne National Lab ed è stato Professore presso le Università di Messina, Roma I, e Trieste. Dal 1978 al 1991 è stato Direttore della Condensed Matter Physics Section dell’International Centre for Theoretical Physics (ICTP) di Trieste, che ha fondato nel 1977 insieme a Erio Tosatti. Fu chiamato alla Scuola Normale nel 1991, ove ha terminato la sua carriera nel 2007. Insieme a Fausto Fumi e a Franco Bassani, ha introdotto la Fisica Teorica dello Stato Solido in Italia, seguendo attentamente gli esempi migliori del mondo anglosassone (si veda “Interview of Fausto Fumi by Lanfranco Belloni on 1982 November 27”, Niels Bohr Library & Archives, American Institute of Physics (AIP) http://www.aip.org/history-programs/niels-bohr-library/oralhistories/4619). Mi diceva sempre che accettò di spostarsi dall’ICTP alla Scuola per la qualità degli studenti. Ne ha avuto tantissimi di studenti, italiani e non, molti dei quali estremamente bravi. Mario se n’è andato il 1 Novembre del 2015, all’età di 83 anni. Figuriamoci se uno come lui poteva scegliere una data banale.

Non serve certo, a distanza di un anno dalla sua scomparsa, che io riassuma il curriculum stellare di Mario. Fatemi solo menzionare che negli ultimi dieci anni della sua carriera lavorò soprattutto alla Fisica dei gas atomici ultrafreddi intrappolati e a quella dell’ “Electron Gas”, un suo vecchio amore sin dai tempi della teoria STLS del 1968 (K. S. Singwi, M. P. Tosi, R. H. Land, and A. Sjölander, “Electron correlations at metallic densities” Phys. Rev., 176 (1968) 589). Ma Mario era estremamente ben noto anche in molti altri contesti della Fisica. Una volta, ridacchiando orgoglioso sotto i baffi, mi parlò dei parametri di Tosi-Fumi nella teoria degli alogenuri alcalini (M. P. Tosi and F. G. Fumi “Ionic sizes and born repulsive parameters in the NaCl-type alkali halides-II: The generalized Huggins- Mayer form”, J. Phys. Chem. Solids 25 (1964) 45). Vorrei qui spendere qualche parola sul volto umano (e anche su quello, a volte, disumano…) dello scienziato, tralasciando di citare quanti articoli assolutamente notevoli Mario ha scritto, che indice di Hirsch aveva a fine carriera, etc.

Conobbi Mario in Normale nel 1998. Fu Ennio Arimondo, durante le lezioni del corso di Struttura della Materia all’Università di Pisa, che mi disse di andargli a parlare, dopo una questione che sollevai durante la lezione sulla condensazione di Bose-Einstein. Ennio ci aveva spiegato in maniera egregia il fenomeno, usando il modello di gas non-interagente di bosoni. Poi, però, fece un esempio concreto di laboratorio citando l’4He. Alla qual cosa mi “opposi”, chiedendo in maniera cortese se fosse giustificato usare il modello non interagente per studiare un liquido ove le interazioni sono forti. Ennio mi guardò negli occhi sorridendo e mi disse: “Le consiglio di andarsi a fare una chiaccherata con il Prof. Mario Tosi al Carovana”. Seguii il suggerimento e, alla fine del penultimo anno di Fisica, andai a trovarlo. Oggi, a distanza di quasi vent’anni, ne sono ancora estremamente orgoglioso e felice.

Ricordo ancora il terrore dentro di me la prima volta che andai a trovare Mario.

Attorno a lui aleggiavano storie assolutamente paurose. Veniva dipinto, nel migliore dei casi, come un orco. La montatura spessa e scura degli occhiali, la postura, ed il mento molto lungo non lo aiutavano di certo. Immaginate con che coraggio bussai sulla porta di legno dello studio n. 81 al Carovana. E immaginate con che coraggio entrai nello studio, tremando all’invito “Come in!” urlato in inglese, con una potenza inaudita. Non scorderò mai quegli attimi e le discussioni seguenti. Mario mi parlò di quello che faceva il suo gruppo, con trasporto, entusiasmo, passione, gioia e una competenza che mi folgorarono. Quando parlava di Fisica, aveva occhi che luccicavano di intelligenza. Gli dissi che mi sarebbe piaciuto fare la tesi di Laurea sotto la sua guida. Mi bloccò subito, chiedendomi che esami avessi fatto e che media avessi. Ridacchiò per la media eccessivamente alta e mi diede la possibilità di laurearmi sotto la sua guida, lavorando alla condensazione di Bose- Einstein. Ho poi continuato a lavorare con Mario per il perfezionamento in Fisica, facendo una tesi su interazioni elettrone-elettrone in gas elettronici a bassa dimensionalità.

Mario è stato un mentor a dir poco eccezionale, una guida assoluta. Un faro che emavana sapere, rigore scientifico, e creatività. Sempre con l’attenzione incentrata sul merito, sulla fatica, sulla disciplina e sull’intransigenza. Sul recruitment universitario italiano, sosteneva laconicamente che “un ciuco difficilmente genera un cavallo da corsa”. Mario era in ufficio ogni giorno, dalle 8.00 alle 20.00, tranne il sabato, giorno in cui si fermava, spesso, solo fino a pranzo. Faceva una breve pausa pranzo. Era sempre in prima linea a dare l’esempio. Pretendeva moltissimo ma dava moltissimo indietro. L’importanza formativa del suo atteggiamento è assolutamente da non trascurare. Fu Mario che mi inculcò, sin dai tempi della tesi di laurea, che la frontiera della competizione scientifica è internazionale. Non appaga confrontarsi solo con il vicino.

A Mario non interessava che i suoi articoli venissero letti in Italia. I suoi competitors preferiti erano nelle migliori Università del mondo. Fu Mario che, da giovanissimo, mi mise ad aiutare studenti della Scuola anche solo di poco più giovani di me. Fu Mario che, da giovanissimo, mi faceva scrivere pezzi di progetti. Fu Mario che, al momento giusto, invitò alla Scuola per una serie di lezioni due ex-Normalisti, Gabriele Giuliani (Purdue University) e Giovanni Vignale (University of Missouri-Columbia). Ogni mossa che Mario faceva era atta ad insegnare il mestiere. Mai mi fece elemosinare una borsa, un posto. Non ho mai chiesto nulla a Mario. Veniva sempre lui a cercarmi, per una piccola borsa di studio tra la laurea e l’inizio del perfezionamento, per assegni di ricerca, per sollecitarmi a partecipare al concorso INFM da ricercatore che poi vinsi mentre ero in Texas. Non dovevo mai chiedere nulla, aveva sempre tutto sotto controllo.

Le sue difficoltà caratteriali sono note a tutti. Inutile negarlo: non era semplice interagirci.

Quante volte è entrato nel mio ufficio senza bussare, praticamente abbattendo la porta di legno, la cui maniglia ero costretto a far riparare spesso e volentieri dal falegname della Scuola. Quante volte è uscito dal mio ufficio rosso paonazzo, quasi-violaceo, in volto, estremamente irrirato e nervoso, dopo avermi urlato in faccia tutta la sua contrarietà per un calcolo non finito in tempo, un controllo richiesto ma da me non fatto, o semplicemente degli appunti da me scritti malamente.

Ma, l’indomani mattina (o, al massimo, dopo un paio di giorni) tornava sempre a trovarmi in ufficio, facendomi una “carezza”—tutta a modo suo—per farsi perdonare del brutale comportamento del giorno prima. Cominciava con una chiaccherata informale, magari in cui mi raccontava vicende di “politica scientifica” della Classe di Scienze della Scuola, spesso dopo un Direttivo. Sapeva che avrei discretamente tenuto tutto per me, e allo stesso tempo riusciva a farmi sentire parte di una cosa molto più grande di me. Poi continuava con una discussione profonda di Fisica, magari completamente slegata da quello che stavo facendo.

Mario conosceva la Fisica molto bene e la comunicava agli allievi benissimo. Meravigliose le sue lezioni di Meccanica Statistica o di Fisica dei Sistemi a Molti Corpi, prive di matematica non strettamente necessaria ma ricche di dettagli di Fisica, di interconnessioni fra problemi apparentemente diversi, etc. I suoi appunti, i famosissimi libretti verdi, sottili e densissimi scritti con un Macintosh, hanno formato generazioni di studenti (per capire il concetto di “denso”, basti pensare che, nel libretto di Fisica dei Sistemi a Molti Corpi, Mario aveva spiegato la funzione d’onda di Laughlin in meno di mezza paginetta). Non imparavi tecniche di calcolo analitico o numerico dalle lezioni molto asciutte di Mario, imparavi molto bene i concetti di Fisica più importanti.

Scrivere un articolo scientifico con Mario comportava uno sforzo notevole. Tralasciando questioni tecniche legate a come andavano scritte le equazioni e a come andavano fatte le figure, Mario aveva una cura assolutamente maniacale dei dettagli. Ogni singola parola scritta nel testo veniva vagliata con estrema cura. Bastava dargli un manoscritto, aspettare 48 ore massimo, e vedere il risultato delle sue correzioni. Sul cartaceo (che voleva stampato con una separazione inter-riga enorme….) apparivano tagli, sostituzioni, e correzioni su ogni parola scritta. Usava penne di vario colore: nero, blu, e rosso. A volte interi paragrafi erano tagliati in rosso. E non esisteva solo un rosso. Si andava dal rosso tenue al rosso fuoco, a seconda della gravità della baggianata scritta.

I suoi commenti sui manoscritti erano a volte umilianti e a tratti esilaranti (rimane famosa la sua imprecazione scritta: “Razza di Schiena di Bue”). Scrivere un articolo con Mario era difficile come costruire una hypercar a mano o come riuscire a creare l’equilibrio perfetto di un Romaneé-Conti. Era alla costante ricerca della perfezione.

Gli interessi di Mario non erano solo limitati alla Fisica. Mario era anche un grandissimo appassionato di Storia. Amante del buon cibo e dell’ottimo vino, amava discutere di politica, trovandosi, debbo dire, fuori dal solito “coro accademico”. Schivo e molto timido, ogni tanto lo beccavi mano nella mano con Carla a spasso per Borgo Stretto. Celebri le cene che organizzava periodicamente nel suo stupendo appartamento in Piazza dei Martiri della Libertà, in cui mi sono fortunatamente ritrovato varie volte, insieme a qualche illustre collega di Mario e/o a scienziati stranieri in visita. Carla cucinava in maniera strepitosa e Mario raccontava infinite storie e aneddoti. Serate piacevolissime. Unico rischio, le scale ripide a fine serata...

Purtroppo Mario se n’è andato. Ora, a distanza di un anno dalla sua scomparsa e con qualche capello bianco che comincio a vedere emergere sulla mia testa, capisco quanto mi manca il mio maestro assoluto.


Marco Polini
Istituto Italiano di Tecnologia, Genova