Valery Rubakov (1955-2022)

Il fisico teorico russo Valery Rubakov è deceduto improvvisamente lo scorso 18 ottobre nella cittadina russa di Sarov, dove si era recato per tenere una conferenza, a causa di complicazioni dovute al COVID contratto in settembre. La notizia della scomparsa di Rubakov, a soli 67 anni d’età, ha avuto un forte impatto su tutta la vasta comunità internazionale della fisica delle particelle elementari e della fisica astroparticellare ed in particolare su quella italiana dati i notevoli legami sia di ricerca che di didattica e divulgazione di Rubakov con l‘Italia.
Rubakov nasce a Mosca nel 1955 e lì compie le sue tappe educative fondamentali nella fisica. Come lui stesso ricorda, decisivi sono gli anni alla High School 57 di Mosca in cui ha la possibilità di seguire dei corsi avanzati di fisica, ma poi la sua formazione scientifica si compie pienamente alla Moscow State University dove, dopo la laurea nel 1978, prosegue all’INR (Institute of Nuclear Research) per il suo PhD conseguito nel 1981. Proprio allora, a soli 26 anni, scrive come singolo autore un importante lavoro sul decadimento del protone “catalizzato” dalla presenza di monopoli magnetici di grande massa. Questo stesso meccanismo di induzione del decadimento del protone e quindi dell’instabilità della materia viene suggerito indipendentemente qualche tempo più tardi anche dal fisico americano Curtis Callan ed oggi viene conosciuto col nome di “effetto Callan-Rubakov”.
L’interesse di Rubakov nella violazione della fondamentale simmetria barionica, che nell’universo garantisce la stabilità della materia, lo porta a considerare il problema che rimane tuttora uno dei temi più affascinanti e irrisolti della fisica cosmo-particellare: in presenza di un ugual ammontare di materia ed antimateria nei primi istanti dell’universo, come è stato possibile evitare una loro annichilazione pressoché totale dando invece vita ad un universo in cui è sopravvissuta la sola materia con la scomparsa totale della antimateria primordiale. A questo riguardo, nel 1985, insieme ai fisici russi Kuzmin e Shaposhnikov, Rubakov scrive un lavoro fondamentale per la nostra comprensione della dinamica delle interazioni elettrodeboli nel plasma delle particelle elementari subito dopo il Big Bang. In tale lavoro viene sottolineato che effetti quantistici comportano la violazione sia del numero barionico che di quello leptonico nelle interazioni elettrodeboli, con effetti trascurabili nell’odierno universo, ma di estrema rilevanza quando l’universo era ancora in una fase calda durante il progressivo e rapido raffreddamento dopo il Big Bang.
La profondità e l’originalità del pensiero di Rubakov nel campo della teoria dei campi quantistici e della cosmologia si esplicitano già nella prima metà degli anni ’80, in particolare con la proposta del 1983, fatta insieme con Shaposhnikov, nel contesto della cosiddetta “brane cosmology”. Si tratta di un campo di ricerca all’intersezione tra, da una parte, teoria della stringa e superstringa in fisica delle particelle e, dall’altra, modello del Big Bang caldo in cosmologia. Il punto centrale della brane cosmology, pionieristicamente affrontato da Rubakov e Shaposhniskov in un loro lavoro del 1983 e poi completato in successivi lavori, è che il nostro universo, che ci appare tridimensionale dal punto di vista spaziale, in realtà risulti essere una “sezione” di uno spazio con dimensioni in numero maggiore di 3. L’originale idea di Rubakov e Shaposhnikov verrà poi approfondita e articolata in modo più completo da vari autori negli anni ’90, approdando in particolare alla teoria di Randall-Sundrum nel 2000.
Numerosi sono i prestigiosi premi internazionali ricevuti da Rubakov durante la sua carriera, a partire dal Friedmann Prize del 1999 per arrivare al Hamburg Prize for Theoretical Physics del 2020. Forse la motivazione del Premio Bruno Pontecorvo nel 2008 meglio racchiude l’enorme contributo della notevolissima produzione scientifica di Rubakov: “For his essential contributions to the study of close interrelation among particle physics, astrophysics and cosmology, and to the elaboration of a fundamental new theory of physical space”.
Ho avuto il privilegio di incontrare e discutere con Rubakov al CERN nei primi anni ’80 quando entrambi lavoravamo sul problema della asimmetria cosmica materia- antimateria. L’ho poi rivisto più volte a conferenze, ma soprattutto in più edizioni della Summer School in High Energy Physics dell’ICTP di Trieste. Lì ho potuto apprezzare le sue eccezionali doti didattiche, in particolare il suo profondo interesse ad interagire con i giovani studenti con una competenza, un’attenzione e una chiarezza assolutamente fuori dal comune. Notevoli poi le sue lezioni, in particolare ricordo quelle di cosmologia, a corsi per studenti di dottorato e giovani postdoc al Centro Nazionale di Studi Avanzati dell’INFN, GGI (Galileo Galilei Institute) ad Arcetri.
Rubakov è autore di importanti testi universitari nel campo della teoria dei campi quantistici e della fisica cosmo-particellare (in particolare, utilizzo abitualmente per il mio corso di fisica astroparticellare il testo da lui scritto nel 2018 con Gorbunov “Introduction to the theory of the Early Universe”). In effetti, proprio la formazione dei giovani ricercatori è stata una delle ragioni cruciali per cui Rubakov, raro esempio tra i fisici più forti della gloriosa passata scuola di fisica della URSS, ha deciso di rimanere all’INR di Mosca nonostante la possibilità di lavoro presso prestigiose istituzioni di ricerca del mondo occidentale.
Infine voglio sottolineare l’impegno di Rubakov per la promozione della scienza quale veicolo di unità, cooperazione e pace. In particolare, Rubakov è stato membro dello Scientific Council dell’ICTP, del CERN-TH Advisory Committee e del CERN Scientific Policy Committee. Nel febbraio scorso, Rubakov è stato uno dei firmatari della lettera aperta di protesta di centinaia di scienziati russi contro la guerra con l’Ucraina.
In una lunga carriera scientifica si ha la fortuna di incontrare tanti/e colleghi/e di grande valore. Tra questi/e, alcuni/e, pochi/e per la verità, a cui si riconosce di avere “una marcia in più”, di appartenere ad una classe superiore per profondità, rapidità e visione. Ecco, io non avrei dubbi a collocare Valery in questa ristretta cerchia di ricercatori.
Antonio Masiero
Università di Padova