In ricordo di Tullio Regge (1931-2014)

tullio Regge Per meglio comprendere la personalità assolutamente fuori norma di Tullio Regge precedere la lettura della sua autobiografia.


Se mi accingo a ricordare Tullio Regge (dopo il suo prologo), un pensiero mi torna alla mente, allegro nonostante siano passati oltre sei decenni. Era un tempo lontano:
la notte del primo gennaio 1953. Sul confine del Monginevro accendevamo un falò che doveva dimostrare l’inutilità della suddivisione in stati e la necessità per l’Italia di far parte di una Unione Europea. Quella notte, nella calca attorno al falò, sentii un prolungato abbaiare e chiesi chi era. Tullio Regge, mi rispose qualcuno. Imparai che era un fisico che si era appena laureato ma non detti importanza al fatto (cominciavo appena il secondo anno).

Quando, nel ‘55, mi laureai (avevo solo 21 anni), Tullio era temporaneamente uscito di scena e io, rifiutando di studiare i reattori nucleari per l’ENI a Roma (ero impegnato con una certa ragazza che diventò mia moglie) finii al Politecnico da un personaggio (da noi detto Beato Cafasso), a studiare moti di fluidi non miscibili in una carota minerale.

Entrai all’Istituto nell’estate del ‘57, snobbando la carota frattanto costruita, e sposai Ilde il 2 dicembre. Tullio era rientrato dagli USA nel ‘56 e aveva sposato a Cordovado mercoledì 27 febbraio 1957 Rosanna (conosciuta in USA nell’autunno 1954) che con grande indipendenza e capacità lo amò (e fu da lui amata con altrettanta totalità per tutta la vita). Una storia del tempo americano racconta che Rosanna si convinse quando disse a Tullio che desiderava una cosa assai strana e Tullio a colpo rispose “un caleidoscopio”. La loro casa fu piena di caleidoscopi di ogni grandezza.

Ricordo una sera che fummo invitati a casa dei Regge. Era forse l’autunno del ‘57, sapevo che Tullio era assistente di Mario Verde e che era un individuo molto particolare ma capii appena che aveva preso un PhD a Rochester, NY, e non vi badai più di tanto. Badai molto invece, quella sera, ad una partita a scacchi che Tullio volle giocare con me (si addormentava a seguire le chiacchiere). Riuscii a pattare e Tullio rimase deluso (evitai di giocare da allora).

La tesi americana, che riguardava particelle di spin 2, fu sviluppata molto bene benché l’interesse da quel lato stesse per affievolirsi (la teoria del pione di spin 2 era dovuta a una imperfezione nelle lastre esaminate da Lattes) e dopo l’affondamento dell’Andrea Doria Regge era rientrato in Italia ad agosto del ‘56 su un vecchio piroscafo greco. Quella sera aveva già alle spalle un lavoro fondamentale, come capii in quei giorni. Si era svolto in collaborazione con John Wheeler, grande personaggio scoppiettante ed estroso che aveva chiarito aspetti fondamentali della Relatività Generale (e.g. Buco Nero, Black Hole, una singolarità della metrica di Schwarzschild).

Wheeler aveva notato Tullio già in USA e mentre era a Leiden gli propose di studiare la stabilità della perturbazione a un Buco Nero. Regge risolse il problema con rapidità e capacità, assicurandosi la sua immediata grande stima: Wheeler divenne subito un grande amico, con contatti di grande interesse scientifico negli anni che seguirono.

Prima di passare in Germania Tullio si occupò di un interessante progetto: nel ‘58 aveva esteso la simmetria dei coefficienti di Clebsch-Gordan portandola, se non sbaglio, ad un insieme di 128 coefficienti. Immediatamente si cimentò ad estendere un’altra simmetria, quella dei coefficienti di Racah; ma non riusciva a compiere il lavoro e per oltre un mese se ne imbestialì senza riuscirci. Poi una mattina lo trovai che in istituto scriveva a macchina come un matto su una vecchissima scrivania che lo circondava da tre lati. Quella notte si era sognato l’estensione della simmetria ed era arrivato in istituto alle 7 per riuscire a scrivere il lavoro, come disse, prima di dimenticarselo.

Ma aveva già in mente alcune strane idee:
un giorno mi chiese, di brutto, che cos’è un momento angolare 7,2+3,5i. Io, stranito, risposi che il momento angolare di una particella era un numero intero o semintero (in unità h/2π) e tutto finì lì. Ma non avevo idea della forza delle sue intenzioni. Ai primi di agosto del ‘58 tentò di spiegare a Gunnar Kallen una sua idea sul momento angolare continuo ma, preso subito in giro come un principiante, furibondo interruppe il corso e se ne partì da Varenna con moglie e figlio.

Passò in Germania, a Monaco di Baviera, sei mesi o giù di lì. E uno di quei giorni discusse un certo problema di passaggio dal discreto al continuo con Kurt Symanzik che gli spiegò che il grande Arnold Sommerfeld aveva tempo fa discusso e risolto una questione del genere: per rendere continua una serie infinita discreta aveva stabilito che tra le infinite possibilità ce n’era una sola ad essere analitica in un semipiano complesso. Tullio trovò il lavoro e produsse immediatamente un articolo in cui trasformava il momento angolare in una variabile continua analitica e regolare in un semipiano (e ne studiava le proprietà).

Sfortuna volle che le notazioni del suo articolo, forse risentendo l’originale lavoro di Sommerfeld, non fossero quelle abituali: il lavoro, pubbicato nel 1959, non ebbe immediate conseguenze. Più avanti, nel ‘62, con Sandro Bottino e Anna Longoni, Tullio pubblicò un altro lavoro, molto lungo, che conteneva notazioni ben più appropriate: studiava energia e momento angolare complessi in teoria del potenziale. Sia data una sovrapposizione di potenziali alla Yukawa; sotto queste condizioni lo sviluppo in onde parziali della funzione f(E, cos t) può essere prolungato fino all’asse immaginario della variabile continua l+1/2 a parte un possibile numero di poli nel semipiano destro. Queste proprietà forniscono un risultato esattamente equivalente (in teoria del potenziale) alle formule di dispersione doppie dell’ampiezza di diffusione nell’energia e nel momento trasferito. Questa fu l’essenza del lavoro di Bottino, Longoni, Regge.

Nel frattempo, dopo la prima stesura, solitaria, di quel lavoro, Tullio si era dedicato ad altro: la discretizzazione della relatività generale. Ecco come funziona. Supponete di avere una superficie a due dimensioni continua e di approssimarla mediante spicchi di triangoli piatti: estendete questo metodo al caso di uno spazio-tempo non pseudo euclideo continuo a quattro dimensioni e avrete un’idea di come si fa sostituendo la geometria all’analisi. Era un lavoro essenziale anche questo: anche di recente venne usato correntemente!

Chew e Frautschi frattanto avevano faticosamente decrittato il primo suo lavoro sull’argomento, e con l’inversione tra energia e momento trasferito avevano definito quelli che vennero chiamati “i poli di Regge”. Ma Tullio, che nel 1961 era all’università di Princeton, benché contento del favore che il suo lavoro aveva ricevuto, pensava ad altro. Non vinse la cattedra quell’anno perché non fece la domanda in tempo (diversamente da quel che si scrive abitualmente) ma si rifece vincendo Relatività il 15 dicembre del 1962.

Dopo alcuni lavori svolti con vari colleghi, nell’ottobre del 1963 andò all’Institute of Advanced Study di Princeton dove scrivemmo “Potential Scattering” che venne pubblicato all’inizio del ‘65 dalla casa editrice North Holland (ero anch’io all’IAS). Il libro ottenne un risultato eccezionale, fu tradotto sia in russo che in giapponese e l’originale in inglese si esaurì rapidamente (ancora negli anni recenti veniva privatamente ristampato).

Tullio partì dall’Institute a metà luglio del ‘64 mentre io restai lì fino al 28 dicembre per varie ragioni (e portai in Europa il testo definitivo). Si rifece nell’autunno del 1965 quando rientrò all’Institute come Faculty Member. Nell’estate ‘66 era disceso nella grotta del Bosco dei Pini (presso Trieste) con me, Pino Furlan e mio cugino Fulvio alto quasi 2 metri: scese allegro a lungo, poi al momento di risalire si stese per terra dichiarando tranquillo che lui non si muoveva più; toccò a noi tre spingere quel grande uomo su per centinaia di metri di grotta, stretto tra pietrame e stalattiti che resero assai penosa la vita di Fulvio che spingeva da sotto. Ci mise 2 ore e si riempì di graffi perché gli si era sollevata la camicia. Nel corso degli anni successivi Tullio si occupò di molte cose, dall’andamento asintotico dei coefficienti di Racah (con Giorgio Ponzano) al Fullerene con Mario Rasetti. Rientrò definitivamente a Fisica nel corso del 1978, già in stampelle e si mise a lavorare sulla Supergravità con D'Auria, Fré, Sciuto, Gliozzi e tanti altri. Negli ultimi anni parecchi lavori furono scritti con Janet Nelson e due con Riccardo Zecchina.

Ma smettiamo di parlare dei suoi lavori, che andarono avanti fino al 2003. Dal 1989, ormai in carrozzella ma sempre del tutto presente e in gamba, fu parlamentare europeo e grazie alla sua conoscenza di parecchie lingue (alcune le imparò rapidamente) si fece amici da tutte le parti (perfino il reverendo Paisley) e fu in grado di introdurre molti ausilii speciali per handicappati. Fu membro del Comitato per la Ricerca e la Tecnologia e si occupò anche di UFO producendo un lavoro che venne adottato all’unanimità benché più avanti un paio di laburisti (membri del suo stesso partito) lo criticassero aspramente per il tempo perduto (meno di mezz’ora). Rientrò nel 1994 e, richiesto con fervore da Zich, passò al Politecnico, suo luogo d’origine, con tutti gli onori dedicati ad un grande uomo (che non fu mai tronfio e sapeva come parlare con ciascuno).

Eviterò anche di dilungarmi sui premi, dal primo Heinemann del 1964 al Città di Como del ‘68, all’Einstein (1979), al premio Presidenza del Consiglio dei Ministri (1988), al Marcel Grossman (1997) e al Pomeranchuk del 2001, e sulle medaglie, Cecil Powell (1987) e Dirac (1996). Non troppo, tutto sommato, per un personaggio così importante.

Oltre che socio nazionale di molte Accademie italiane ed estere (compresa quella russa, ex sovietica) va notata la sua lunga ed attivissima presidenza della Associazione di Ricerca e Prevenzione Handicap. Tra un infinito numero di articoli su scienza, cultura e handicap c’è (unico che cito) l’intervento sulla Repubblica del 17 aprile 2001 sul “progresso a rischio zero”. C’è anche la serie di libri dedicati a questioni scientifiche ma diretti a tutti, come il Dialogo con Primo Levi e tutti gli altri di cui mi manca il tempo per parlare. E se non ebbe il premio Nobel, non dipese da lui ma dalla situazione generale, dal caso e soprattutto da come andarono certe cose. Se ad esempio fosse rimasta in grande auge la storia delle risonanze a spin più alti (come parve ad un certo punto) forse l’avrebbe preso benché i suoi lavori di fisica matematica non badassero all’applicazione alle particelle. Quello che svolse è comunque al più alto livello. Il Nobel è sempre connesso ad una serie di situazioni accessorie indipendenti dalla volontà dello scienziato.


Vittorio de Alfaro
Accademia delle scienze di Torino
e Università di Torino