Sergio Ratti (1934-2020)

Ho conosciuto Sergio nel 1958, all’allora Istituto di Fisica dell’Università di Milano, quando chiesi la tesi di laurea a Ettore Fiorini che coordinava un piccolo gruppo di particellari formato da lui, da Ratti e da De Munari. In quel periodo si lavorava in montagna, in alta Val Formazza, località Sabbioni, utilizzando una grande camera di Wilson a setti, in collaborazione con l’Università di Pisa e in particolare con Marcello Conversi, passato poi a Roma, e con Carlo Rubbia, quest’ultimo, come del resto Fiorini e Ratti, laureato da un paio d’anni. Cercavamo allora una nuova particella utilizzando i raggi cosmici.
Si abitava tutti in una capanna dove si mangiava, si dormiva e si controllava la camera di Wilson, con elettronica relativa. Stando così gomito a gomito, tutti abbiamo finito per conoscerci e così nacque la stima reciproca con Sergio e la nostra amicizia. Quando mi laureai, nel 1959, era appena iniziato il periodo di transizione dalla ricerca sulle particelle con i raggi cosmici a quella con gli acceleratori.
Giuseppe Beppo Occhialini, che coordinava tutta l’attività di particelle dell’Istituto di Fisica, decise di introdurre a Milano le ricerche con camera a bolle, in una collaborazione con il gruppo di André Lagarrigue, che aveva sede a Orsay. Fu un periodo questo quasi pionieristico perché si trattava di approntare la tecnologia per osservare i fotogrammi di camere a bolle e cercare di identificare le particelle e la loro energia, mediante metodi operati a mano.
Sergio e io lavorammo molto insieme in quel periodo anche perché Ettore Fiorini era andato nel frattempo per un anno negli USA, da Martin Bloch alla Duke University. Nel frattempo si era unito a noi Antonino Pullia.
Negli anni successivi si poterono costruire dei proiettori con una ottica finalmente adeguata allo studio dei fotogrammi e questo fu decisamente un passo avanti. La collaborazione proseguì fino al 1967, estendendosi nel frattempo anche al gruppo di Milla Baldo Ceolin di Padova e a gruppi americani. In quel periodo Sergio trascorse un anno negli USA, sempre con Martin Bloch, che si era trasferito a Evanston alla Northwestern University. Poi io andai a Parigi, a lavorare all’Ècole Normale Supérieure e Sergio si trasferì all’Università di Pavia e così terminò la nostra collaborazione diretta.
Sono rimasto comunque sempre in contatto con lui, che fra l’altro nel '60 fu mio testimone di nozze, e io e mia moglie ci siamo più volte trovati con lui e con sua moglie Amelia.
Mi è rimasto un bellissimo ricordo di quegli anni, dell’amicizia con Sergio, della sua levatura umana, del suo humor, della sua forza di lavoro e della passione per la ricerca, oltre che delle sue capacità scientifiche. Si lavorava bene in quegli anni, con serenità e in armonia, tutti spinti al massimo dal nostro interesse e dalla nostra passione per la fisica delle particelle.
Negli anni '80 mi ritrovai a lavorare con Sergio, quando con il mio gruppo e il gruppo di Bologna che aveva lavorato con me negli anni '70 in un esperimento al IHEP di Serpukhov, stabilii una collaborazione per un esperimento al Fermilab, la quale, oltre a due gruppi americani, comprendeva anche il gruppo di Sergio di Pavia e un gruppo di Frascati; scopo dell’esperimento era la misura della vita media delle particelle con charm mediante uno spettrometro esposto a un fascio di fotoni. In quell’esperimento avevamo dato un contributo decisivo da Milano, istallando nello spettrometro il primo microvertice, costruito da microrivelatori di Si semiconduttore, che riusciva a misurare il cammino della particella con Charm (vita media dell’ordine di 10–12–10–13 s) prima del decadimento. Mi ricordo molto bene due giovani del gruppo di Sergio, in particolare Cristina Riccardi e Paolo Vitulo, molto bravi, che lavoravano al nostro esperimento. Ci si accorgeva che questi giovani erano stati allevati da Sergio per la forza e la passione che mettevano nel lavoro. L’esperimento fu decisamente un successo, perché riuscimmo a misurare con buona precisione, la migliore in quel periodo e successivamente per un buon numero di anni, la vita media di tutte le particelle, mesoni e barioni, dotate di Charm.
Anche negli anni successivi rimasi comunque sempre in costante contatto con Sergio, per ragioni scientifiche e personali.
A questo punto devo passare la mano ai
colleghi di Pavia che sono testimoni delle
molteplici altre attività di Sergio.
Gianpaolo Bellini
Università di Milano
Il gruppo dei giovani di Pavia era denominato in pavese “quei del Ratti” (“quelli del Ratti”) e per uno strano gioco del destino ci avevano messo a lavorare o negli scantinati o nel sottotetto... di fatto era quasi giusto chiamare i nostri spazi “la ratèra” che in dialetto pavese indica il luogo dei “ratti”.
Era la fine degli anni '80 e Sergio era circondato da un buon numero di laureandi e dottorandi. Con lui, abbiamo condiviso il periodo americano di Fermilab. Ci si occupava dello studio della produzione e del decadimento del quark charm in interazioni fotone-berillio ad energie elevate. Eravamo inseriti in una collaborazione internazionale, comprendente anche colleghi e amici di Milano, Frascati e Bologna. Come spesso accade in queste realtà, il contributo all’esperimento di noi di Pavia è cominciato “in sordina” e piano piano è cresciuto negli anni, soprattutto grazie a Sergio. Partendo dall’incollaggio di fototubi su scintillatori per il calorimetro elettromagnetico di Frascati e dalla pulizia dei piani del calorimetro adronico (appena danneggiato da un incendio) siamo arrivati ad acquisire la responsabilità della gestione di due rivelatori dell’esperimento e di diverse analisi i cui risultati sono riportati su riviste scientifiche internazionali.
Erano anni impegnativi per noi giovani ed era tipico di Sergio responsabilizzarci con una costante “spinta gentile” che ci ha poi permesso di conoscere il mondo della ricerca anche a livello internazionale e di crescere scientificamente. La vita di gruppo non era limitata al lavoro: condividevamo alloggio e auto, una vecchia Chevrolet verde che avevamo acquistato con una colletta. Le cene, alle quali Sergio non faceva mai mancare il suo “pinch of herbs”, rafforzavano e “alimentavano” la nostra coesione.
Il nuovo calorimetro adronico, installato nel 1995, rappresentò la nostra prima sfida. Sergio aveva preso attivamente parte alla progettazione proponendo di usare come parte attiva degli scintillatori con lettura a fibre. Alla fine dell’esperimento si era poi impegnato usando una buona dose della sua caparbietà a far arrivare un piano del calorimetro americano a Pavia per esporlo presso il museo della Tecnica Elettrica.
Numerosi risultati delle tesi di cui Sergio è stato relatore sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali: molti di questi sono stati prodotti dall’analisi dei decadimenti di particelle con charm con una precisione decisamente superiore a quella delle misure preesistenti e pertanto tale da essere riportati sul Particle Data Group Review. Tra questi sicuramente il suo preferito è stato la prima osservazione della particella neutra Omega_C che amava definire “neutrone primordiale”. Ricordiamo ancora la sua soddisfazione quando ricevette per questo risultato una lettera di congratulazioni dall’allora Magnifico Rettore Roberto Schmid.
Negli stessi anni il governo statunitense aveva avviato la costruzione del Superconducting Super Collider in Texas e Sergio, entusiasta di questa nuova sfida, ci aveva inserito nel progetto di un esperimento presso quella macchina collisionatrice: contattò Rinaldo Santonico, che aveva da poco sviluppato un nuovo rivelatore a gas chiamato RPC, e ci convinse che questa tecnologia potesse rappresentare un’ottima opzione per la rivelazione dei muoni nel nuovo esperimento americano. Avevamo pertanto avviato una serie di misure atte a supportare questa proposta. Nonostante l’annullamento del progetto SSC da parte degli americani, l’esperienza acquisita con gli RPC si rivelò utile nella seconda fase dell’esperimento al Fermilab (1996-1997) e successivamente al collisionatore LHC del CERN; alcune possibili applicazioni di questi rivelatori in ambito biomedico sono inoltre state oggetto di progetti di ricerca proposti con Sergio.
Verso la metà degli anni '90, tutti noi, sempre sotto l’egida di Sergio, abbiamo iniziato una nuova avventura in una collaborazione 100 volte più numerosa nell’esperimento CMS al collisionatore LHC, con una fisica sicuramente diversa da quella a cui eravamo abituati. Ricordiamo le battaglie fatte con lui per consolidare i rivelatori RPC nell’esperimento.
In questa “esperienza di vita” che dura tutt’ora, il gruppo di Pavia ha portato la sua competenza nel settore dei muoni. Nel frattempo il “gruppo di Sergio”, quei giovani dei tempi americani, è maturato, si è sparso nel mondo, è cresciuto e ha formato nuovi giovani: come una struttura frattale che tanto gli piaceva.
Dell’uomo molti ricordano la tenacia e l’elegante ironia: sempre pronto alla battuta, sottilmente ingegnoso, arguto nella risoluzione dei problemi, vulcanico nella presentazione di nuove idee, non disdegnava lo sport, da bravo tennista e da ostinato interista...
Cristina Riccardi, Paolo Vitulo
Università di Pavia
Ho iniziato a frequentare casa e famiglia Ratti a 11 anni nel 1973, da compagno di giochi dei figli Alessandro e Michele, quando non sapevo ancora cosa fosse la fisica. Lui non c’era spesso, ovviamente lavorava, invece era sempre presente e si occupava di tutti noi ragazzi la moglie Amelia. La frequentazione è continuata per anni, anche con qualche partita di tennis, sport che amava molto specie in doppio (non amava invece perdere).
Ho poi incontrato di nuovo Sergio Ratti in università, quando sono venuto a Pavia nel 1992. Lavorando in fisica della materia non ho avuto con lui una interazione scientifica, ma dopo qualche anno ho iniziato a collaborare con Sergio nel Dottorato di Ricerca in Fisica, che aveva fondato a Pavia nel 1981 (assieme ad Attilio Rigamonti). Fu coordinatore del Dottorato ininterrottamente dal primo ciclo nel 1981 fino al 2006, io sono stato suo vice negli ultimi anni e ho preso poi il suo posto nel 2006, quando Sergio divenne primo direttore e cofondatore della Scuola di Alta Formazione Dottorale dell’Università di Pavia.
Sergio Ratti era convinto e tenace sostenitore della formazione a livello dottorale in quanto motore della ricerca avanzata e dello sviluppo scientifico e di innovazione del Paese. Aveva in mente l’origine del dottorato in Germania nell’800, come fattore chiave del trasferimento tecnologico fra università e industria avanzata. Era forte promotore dell’internazionalizzazione: grazie alla sua estesa rete di conoscenze negli Stati Uniti, era riuscito a firmare convenzioni con diverse università americane, e nel 2001 aveva ottenuto per il dottorato a Pavia il riconoscimento MIUR di “dottorato internazionale” con relativo finanziamento. Favoriva in tutti i modi gli scambi e le carriere internazionali dei dottorandi. Aveva precorso i tempi di molti anni.
Nell’organizzazione del dottorato e nella gestione quotidiana, sosteneva sempre il valore della libertà e autonomia dei dottorandi, nonché l’importanza della cultura generale e dell’unità della Fisica attraverso didattica strutturata e seminari comuni. Nell’occuparsi sia del dottorato in Fisica, sia della scuola dottorale di Pavia, non ammetteva la pratica (non scomparsa neanche adesso) di trattare i dottorandi come forza lavoro, peraltro sottopagata. Sosteneva l’idea che il concorso di ammissione deve essere aperto e si vince sulla base del merito, dopo il concorso è il dottorando che deve elaborare un programma di ricerca e scegliere il tutore, non il contrario. Il tutore deve essere garante della formazione del dottorando e provvedere i mezzi finanziari per la sua ricerca: se il tutore non va bene, si cambia. Anche con questi concetti aveva precorso i tempi (e talvolta è ancora necessario ribadirli).
Se non tollerava chi trattava male i dottorandi, d’altra parte esigeva da loro presenza assidua, lavoro serio, partecipazione alle attività comuni. Organizzava seminari e controllava tutte le presenze, assegnando pallini neri agli assenti. Dopo due pallini neri partiva una lettera di ammonizione, dopo tre pallini... nessuno ha voluto rischiare fino a quel punto.
Sergio era sempre di buon umore, molto attivo, sportivo, aveva una incredibile capacità di viaggiare. Le sue destinazioni non erano solo scientifiche (soprattutto gli Stati Uniti), ma anche istituzionali: ha sempre frequentato il MIUR, fu rappresentante dell’area fisica al CUN dal 1999, i viaggi a Roma erano frequentissimi. Non era solo una questione di tenuta fisica: aveva a cuore sia la ricerca sia le istituzioni, voleva organizzare e costruire, il suo entusiasmo era inesauribile.
Avrebbe continuato volentieri a occuparsi della ricerca, dei dottorandi e delle istituzioni, se non fosse intervenuto il fattore anagrafico. Ma anche in pensione veniva spesso in Dipartimento, nell’ufficio di vari colleghi e anche nel mio: “Lucio, vorrei iniziare questo progetto di ricerca, puoi aiutarmi a trovare uno spazio in Dipartimento?” Non credo si sia mai sentito in pensione, aveva sempre lo stesso entusiasmo e lo stesso humor che ricordano molto bene tutti i colleghi che lo hanno incontrato. O che hanno letto le sue numerose lettere, in genere firmate come SPQR (Sergio PeppinusQue Ratti).
Ciascuno di noi verrà ricordato soprattutto per ciò che ha costruito e che dura nel tempo.
Sergio, la tua visione del dottorato come progetto formativo è alla base della Scuola di Alta Formazione Dottorale dell’Università di Pavia e resta la guida per l’operato mio e di molti di noi. Il tuo entusiasmo per la ricerca, la tua fiducia nei giovani, il tuo humor, la tua generosità ci accompagnano sempre.
Lucio Andreani
Università di Pavia