Roberto Petronzio (1949-2016)

R. Petronzio

Roberto, Scienziato e amico

Il 28 luglio 2016, all’età di sessantasette anni, è morto a Roma dopo una lunga e drammatica malattia Roberto Petronzio. Roberto Petronzio è stato un fisico teorico di altissimo livello, capace di dare il suo contributo originale e profondo in molti settori della fisica teorica delle particelle elementari.

È stato professore all’Università di Roma Tor Vergata, presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare INFN dal 2004 al 2011 e Direttore generale del Consorzio Cabibbo Lab. dal 2011 al 2014.

Con lui è scomparso un grande fisico, uno scienziato dotato di un pensiero profondo e lungimirante, di una grande e viva curiosità nella esplorazione delle nuove frontiere di fisica e di una enorme determinazione e forza trainante.

I primi anni della sua ricerca scientifica e il CERN

Il nostro rapporto di amicizia nacque nel 1971 nello studio del Professor Cabibbo dove il Professore riuniva studenti e giovani ricercatori per discutere degli argomenti di fisica teorica più attuali e interessanti. Roberto era uno studente brillante, aperto alla discussione e al confronto, e con una capacità di lavoro e una determinazione incredibili e inesauribili. Entrambi dovevamo scegliere l’argomento della tesi di laurea e Roberto, pur con paure e preoccupazioni, aveva deciso che il suo relatore sarebbe stato il Professor Cabibbo. I timori e le esitazioni venivano dalla grande fama scientifica del Professor Cabibbo, ma anche dal confronto con i suoi giovani collaboratori già affermati, Massimo Testa e Giorgio Parisi tra tutti, dei quali si diceva che erano “mostri” che avevano anticipato lo studio dei Bjorken e Drell agli anni del Liceo e che, pertanto, “con loro non c’era partita”.

Al contrario, la passione, la determinazione, l’assiduità e l’umiltà con cui Roberto affrontava il suo lavoro, gli consentirono di interagire e lavorare da subito anche con fisici affermati come Luciano Maiani e Guido Altarelli diventando un membro importante del “gruppo teorico di Roma” e laureandosi a Roma con il Professor Cabibbo nel 1972 con una tesi dal titolo: “Reazioni inclusive elettrone-nucleone e la teoria di Weinberg sulle interazioni deboli”.

Nel 1975, sempre con Cabibbo, ha preso il diploma alla “Scuola di Perfezionamento in Fisica” con la tesi dal titolo: “Le correnti deboli ed elettromagnetiche e la struttura degli adroni”.

Roberto ha iniziato la sua produzione scientifica con uno studio sulle interazioni di neutrini con un modello a partoni sviluppato da lui con il gruppo di Roma, diventando presto un esperto mondiale nelle interazioni elettrodeboli profondamente inelastiche e in QCD.

La nostra amicizia è durata 45 anni e ha anche coinvolto le nostre rispettive mogli e figli.

Il nostro percorso scientifico dal 1972 al 1980 ci ha visto superare insieme gli stessi traguardi: la laurea, borse di studio, posto di assistente ordinario, fellowship al CERN e posto di professore associato. In questo periodo ci incontravamo quindi regolarmente e Roberto si confidava spesso con me e mi chiedeva consigli. Non nascondo che la cosa mi facesse molto piacere, per la stima che avevo per lui, ma anche per un sentimento di crescente affetto nello scorgere in lui, accanto alla forza e alla determinazione, uno smarrimento e una vulnerabilità che me lo rendevano caro. Di questo periodo ho il ricordo di almeno due momenti eccitanti vissuti con Roberto, la scoperta nel 1974 della J/Ψ e il lavoro sullo studio dei vincoli al valore della massa dell’Higgs del 1979.

Pur essendo io soltanto testimone/ spettatore, la discussione con Roberto mi faceva sentire partecipe di quanto accadeva dandomi la ambiziosa impressione di aver dato in qualche modo il mio contributo. Rivivo la fretta e l’ansia con cui Roberto preparava le bozze da portare a Bologna del lavoro pubblicato nelle Lettere al Nuovo Cimento sulla scoperta della J/Ψ.

E ancora è viva e presente la cura spasmodica con cui Roberto e Luciano Maiani facevano e rifacevano i conti mentre insieme a Cabibbo e Parisi sviluppavano la teoria che fissa fra 100 e 200 GeV la regione nella quale andare a cercare il Bosone di Higgs, teoria nata dall’idea che se il bosone di Higgs fosse stato altrove il Modello Standard sarebbe stato inconsistente.

La cosa divertente è che in L3 dal 1989, in CDF dal 1998 e in Atlas dal 2006, questo lavoro, con le appicazioni da esso derivate, è stato per me una guida e uno strumento di analisi costante nella ricerca del Bosone di Higgs. La sua spettacolare scoperta con una massa di 125 GeV annunciata al CERN il 4 luglio del 2012, ha mostrato che la regione prevista era quella giusta.

Seguendo Aristotele nell’Etica Nicomachea, in cui individua tre diversi tipi di amicizia, rispettivamente fondati sul piacere, sull’interesse e sulla virtù, mi sento di dire che la nostra amicizia in quel periodo era fondata sul “piacere” di affrontare insieme la vita, crescere confidandoci le diverse situazioni famigliari e di lavoro.

Gli anni della maturità e delle responsabilità scientifiche

Dopo il periodo trascorso al CERN, Roberto, come visiting professor, è stato all’Ecole Normale Supérieure di Parigi, al Max Planck Institute di Monaco e alla Boston University. In questi anni la sua attività scientifica si è focalizzata principalmente sui fondamenti e sullo sviluppo della cromodinamica quantistica perturbativa, sulle teorie unificate e sulla ricerca di segnali di fisica oltre il Modello Standard. A Monaco, sollevando un grande interesse degli sperimentali, propose di misurare la formazione di “quark gluon plasma” deconfinato dalla soppressione della produzione di J/Ψ.

Quando Roberto ha lasciato il CERN per Parigi ci siamo frequentati di meno senza però perderci di vista e vivendo i nostri incontri come se ci fossimo visti il giorno prima.

Ancora al CERN, Roberto si appassionò alla simulazione della QCD numerica non perturbativa con i metodi Montecarlo.

Nel 1984, con Cabibbo e Martinelli, ha pubblicato un lavoro pioneristico sul calcolo della rinormalizzazione di QCD degli operatori a quattro-fermioni, una situazione molto interessante per le interazioni deboli non leptoniche. Questa pubblicazione ha aperto una nuova strada per il calcolo della rinormalizzazione non perturbativa degli elementi di matrice delle interazioni deboli (i così chiamati B-factors), che avrebbe poi avuto un impatto importante sulla determinazione della matrice di Cabibbo- Kobayashi-Maskawa, fornendo un test cruciale per il Modello Standard.

Con Cabibbo e Parisi Roberto ha inoltre dato un contributo fondamentale allo sviluppo del progetto di supercalcolatori APE (Array Processor Experiment) dell’INFN con lo scopo di disegnare e costruire un processore parallelo ottimizzato per i calcoli di QCD.

Con Cabibbo e Martinelli ha proposto l’uso della simulazione sul reticolo per calcolare le ampiezze deboli. Questi risultati sono di grande importanza nella fisica del sapore cioè per gli studi della fisica del B alle B-factories e al CERN dalle collaborazioni LHCb, ATLAS e CMS. Come già sottolineato, nel suo lavoro Roberto era creativo, tenace e amava condividere con i suoi collaboratori il suo entusiasmo per la ricerca e per il lavoro di gruppo.

Dotato di una raffinata mente matematica, Roberto non ha mai perso di vista la stretta relazione che ci deve essere tra teoria ed esperimento suggerendo in prima persona esperimenti originali per verificare aspetti delicati della teoria. Anche per questo è stato unanimamente apprezzato e rispettato.

Nel 1987 Roberto ha vinto la Cattedra di Fisica Teorica all’Università di Tor Vergata posizione che occupava quando è sopraggiunta la sua grave malattia.

Tornato a Roma, Roberto si è dedicato all’insegnamento crescendo una scuola di giovani fisici teorici, lavorando sulla QCD sul reticolo, nelle interazioni elettrodeboli e partecipando alla estensione di APE.

A questo proposito, va sottolineato il ruolo importantissimo di educatore che egli ha svolto nell’avviare alla carriera scientifica decine di giovani, alcuni dei quali divenuti famosi scienziati a livello internazionale.

Inoltre a Roma si è appassionato alla amministrazione scientifica. Prima, 1992- 2002, come Membro del Consiglio di Amministrazione dell’Università di Tor Vergata, poi, 2002-2003, come Membro della Giunta Esecutiva degli INFN.

Come già ricordato, nel 2004 diviene Presidente dell’INFN, carica che ha mantenuto fino al 2011. Dal 2006 al 2011 è stato il delegato scientifico italiano al Council del CERN, mentre dal 2006 al 2014 è stato il rappresentante del Governo italiano e Presidente dello Steering Committee dell’ICTP di Trieste.

Durante la sua Presidenza dell’ INFN si è fatto apprezzare per la sua capacità e per il grandissimo impegno nel governo dell’ Istituto, giocando un ruolo chiave in una fase importante e molto delicata della ristrutturazione dell’ente. Infatti, grazie alle sue capacità, Roberto è riuscito nella delicata operazione di mantenere la trasparenza e l’affidabilità dell’INFN, preservandone l’indipendenza, l’autonomia e la forma di governo. Caratteristiche queste che sono state alla base del successo indiscutibile di questo Istituto e che fanno dell’INFN un caso unico in Italia e di eccellenza nel mondo.

A ICTP, egli ha garantito una connessione efficente con il Governo Italiano portando ICTP e INFN a interagire molto strettamente, rafforzando i legami tra i due istituti e promovendo un accordo di collaborazione di grande successo.

Nei suoi anni di Presidenza dell’INFN Roberto ha sempre posto tra le priorità dell’Ente la strategia di sviluppo del Laboratorio di Frascati. Era inoltre convinto che al rilancio dell’attività di ricerca nel nostro Paese servisse un grande progetto di livello internazionale, capace anche di attrarre risorse e giovani talenti dall’estero, A tal fine, verso la fine del suo mandato, si era fatto promotore della costruzione nell’area laziale di un collider di nuova concezione ad altissime prestazioni (SuperB) per studiare i decadimenti del mesone B e la fisica del sapore e destinato a proseguire la strada di AdA, ADONE e DAΦNE.

Si era individuata nel campus dell’Università di Tor Vergata l’area su cui realizzare la infrastruttura scientifica in cui ospitare l’acceleratore, dandogli il nome di “Laboratorio Nicola Cabibbo”.

Dal 2012 al 2014 ho avuto l’incarico di presiedere un gruppo di referee esperti delle varie attività per controllare lo stato di avanzamento del progetto. È stato un grande piacere per me lavorare con Roberto e una ennesima occasione per osservare con che entusiasmo, passione, energia e forza trainante era capace di guidare, quasi “spronare”, una comunità di eccellenti scienziati da tutto il mondo riuniti per la realizzazione di un progetto di grande valore scientifico.

Per mancanza di risorse alla fine il progetto non ha trovato possibilità di realizzazione nel nostro Paese ed è ora in esecuzione in Giappone con la stessa idea progettuale, sviluppata ai Laboratori Nazionali di Frascati.

Roberto è stato una grande risorsa per la nostra comunità e ci lascia la sfida di portare avanti una tradizione iniziata da Enrico Fermi e proseguita da Bruno Touschek, Nicola Cabibbo e altri.

L’amicizia fondata sulla virtù

Roberto aveva una personalità ricca e completa con molti interessi al di fuori della fisica. Era un buon lettore, amava la musica, suonava la chitarra e il sax e amava la montagna e il mare. Nello sport eccelleva: maestro di sci di uno dei miei figli e di quelli di tanti amici, nuotatore instancabile, amava il canottaggio e la vela ma soprattutto, nella ginnastica artistica maschile, era in grado di eseguire la croce agli anelli dimostrando di avere una forza statica eccezionale.

Era inoltre sempre disponibile, era pieno di ironia e humour ed era capace con una fulminante battuta di rallegrare l’intera compagnia di amici. Negli ultimi anni ci eravamo ritrovati con rinnovato affetto.

L’amicizia si dimostra non si dichiara e nel 2009 Roberto mi dimostrò tutto questo seguendo per mesi con apprensione e affetto la malattia di mio figlio, poi felicemente risolta, e la tragica fine di mia sorella che a 52 anni se ne è andata in meno di sei mesi. Devo per questo a Roberto un grande debito di gratitudine.

Poi il 22 gennaio del 2014 è arrivato il tragico evento della sua emorragia cerebrale. Per alcune settimane allo strazio lacerante nel vedere lo stato di Roberto e il dolore di Cristina, Alberta e i cinque figli, si alternava la speranza che la forte fibra di Robby alla fine avrebbe avuto la meglio. Questa situazione con alti e bassi nella quale Roberto passava da stati di presenza a situazioni di assopimento è andata avanti per due anni e 6 mesi e solo lo straordinario coraggio e la immensa forza della moglie Cristina con il suo eroico amore hanno permesso a Roberto di vivere ancora.

Andarlo a trovare era per me una pena indicibile ma anche una gioia per saperlo ancora vivo e il suo stato di salute-presenza lo percepivo dal modo con cui mi guardava e dalla presenza o meno del suo sorriso.

Dice Aristotele che l’amicizia fondata sulla virtù ha come fine più alto il bene del suo oggetto. Negli ultimi anni questa è stata la nostra amicizia.

A chi lo ha stimato e amato Roberto mancherà per sempre.


Carlo Dionisi
Università di Roma La Sapienza
INFN, Sezione di Roma 1



Roberto, un “visionario” con i piedi ben piantati a terra

Il ricordo di Carlo Dionisi ha già toccato molti degli aspetti scientifici e anche umani della vita di Roberto. Della mia esperienza con Roberto vorrei qui ricordare un tratto della sua personalità che mi ha sempre affascinato: la sua capacità di “vision”, di immaginazione coniugata con saggezza e conoscenza, quello che rende per me Roberto un vero “visionario” della ricerca.

Le mie interazioni di lavoro con Roberto hanno conosciuto due momenti che mi hanno rivelato tratti complementari della personalità scientifica di Roberto.

C’è la prima fase, quella della mia prima conoscenza con lui: nel 1983, io giovane fellow alla divisione teorica del CERN, proveniente dalla scuola teorica padovana di impronta “elettrodebole” e già focalizzata su studi di nuova fisica oltre il Modello Standard. Lui, giovane staff CERN già affermato, proveniente dalla scuola teorica romana più focalizzata su una fenomenologia meno “pindarica”, un’autorità nel campo dello studio delle interazioni nucleari forti, la teoria della QCD, uno degli autori (insieme con J. Ellis, G. Preparata, A. De Rujula e W. Scott) di quel fortunato lavoro “Can one tell QCD from a Hole to the Ground - A drama in five acts” (con QCD = Quod CERN Demonstraturum) rappresentato per la prima volta in una famosa scuola di Erice del 1979, con “Pestilonzio”, “An infedel – devil’s advocate who attempts to undermine QCD from within”. Mi ricordo bene, fin dalla prima interazione con lui nei corridoi del CERN, due caratteristiche della sua personalità: un enorme entusiasmo, una passione coinvolgente coniugati a una grande chiarezza e lucidità, particolarmente evidenti a chi, come me, era un non-specialista dellla QCD; la seconda caratteristica era una grande concretezza e aderenza alla realtà fenomenologica.

Una ventina di anni più tardi mi ritrovo a collaborare con lui: ritrovo inalterata, se non addirittura accresciuta, la prima caratteristica, quell’ “ardore” per la fisica, segno distintivo dell’operare nella ricerca di Roberto. Ma, per quanto concerne la seconda caratteristica menzionata, vedo una trasformazione: pur mantenendo la sua profonda “osservanza fenomenologica”, ora vedo in lui molto più accentuato il carattere di teorico “visionario”, alla ricerca di nuove idee, spesso fuori dal mainstream anche di chi si occupa di fisica oltre il Modello Standard. Le interazioni di collaborazione con lui diventano continue occasioni di incessanti brainstorming.

L’occasione è data nel 2003, quando un mio giovane laureato di Perugia, Paride Paradisi, entra a fare il dottorato all’ Università di Tor Vergata e sceglie come relatore di tesi proprio Roberto.

Paride si era occupato per la sua laurea di studiare possibili effetti dovuti alla presenza di particelle supersimmetriche su alcuni dei fenomeni fisici più rari in natura, quelli che riguardano processi in cui si assiste a un cambiamento tra il “flavour” dello stato iniziale e quello finale senza che questo sia accompagnato da cambiamento della carica elettrica (processi FCNC). Roberto, insieme a molti di noi, naturalmente, era affascinato dalla possibilità di “vedere” virtualmente, attraverso un effetto puramente quantistico, la presenza di nuove particelle – particelle la cui esistenza non era predetta nel Modello Standard.

L’esplorazione con Roberto di questi effetti “virtuali” della nuova fisica, in particolare in processi FCNC, è stata per me una delle avventure di fisica più interessanti, divertenti e anche curiose: sì, perché Roberto appariva spesso più “giovane” di me, ma addirittura anche dell’anagraficamente ben più giovane Paride, nel suo modo originale e creativo di confrontarsi con le innumerevoli possibilità che la ricerca di nuova fisica FCNC offriva.

Ogni volta che ci si vedeva, da Roberto partiva una raffica di nuove proposte, di percorsi di strade finora inesplorate, di coraggiose (spesso, direi, spericolate) idee su cui confrontarsi. Il più delle volte queste non portavano da nessuna parte, ma, come mi diceva spesso un mio “tutor”, “è meglio avere qualcuno che spara 100 nuove proposte, di cui 99 non portano da nessuna parte, che chi rimane immobile per paura di sbagliare”. Questa ondata visionaria nell’approccio di Roberto alla ricerca si coniugava però sempre a quella profonda conoscenza (direi, anzi, “osservanza”) fenomenologica e di teoria dei campi quantistici che lo aveva caratterizzato fin dall’inizio.

Roberto, insieme a Paride, è stato il motore della ricerca che ci ha condotto nel 2006 a ipotizzare che la cosiddetta “universalità del flavour leptonico”, prevista dal Modello Standard, potesse essere, seppur lievemente, violata proprio a causa di processi FCNC dovuti allo scambio di particelle supersimmetriche. Come il più delle volte appariva nel modo di procedere di Roberto, lo spunto non era una pura speculazione teorica, bensì un qualche possibile indizio fenomenologico “reale”: in questo caso, l’esperimento NA48/2 al CERN aveva visto che ci poteva essere qualche (ahimè, debole) indizio di una tale violazione nei decadimenti leptonici dei mesoni K (K → ℓν, con ℓ = muone o elettrone)

Qui tutto il soprammenzionato entusiasmo spericolato di Roberto nella ricerca si veniva a manifestare: mi chiamava in improbabili ore, con preferenza per i fine settimana, insomma in quei pochi momenti “liberi” che riusciva faticosamente a scavarsi dalla sua incessante attività di presidente dell’INFN.

Con un procedimento che potremmo chiamare maieutico, si veniva a stabilire una dialettica in cui Roberto giocava il più delle volte il ruolo del “giovane” spericolato che propone nuove strade da esplorare, possibilità finora nascoste, mentre Paride ed io mettevamo in rilievo i punti critici, suggerendo varianti, in un incessante contraddittorio scientifico che è il “sale” della ricerca fatta in collaborazione.

Alle volte invece che spunti fenomenologici erano folgoranti intuizioni. Un esempio per tutti: un sabato mattina, quando ero direttore della Sezione INFN di Padova, Roberto mi chiama eccitato al cellulare. Immagino sia per la travagliata vicenda della riforma degli enti di ricerca a cui prima accennava Dionisi, e invece mi fa questo discorso: “ È da ieri sera che sto pensando a come sia possibile che l’abbondanza di materia ordinaria e di materia oscura nell’universo differiscano solamente di un fattore 4–5, quando i meccanismi nell’universo primordiale che hanno determinato l’esistenza della materia ordinaria (asimmetria materia-antimateria) e della materia oscura sono del tutto diversi con parametri, come la violazione della simmetria CP, decisivi per avere la materia ordinaria, ma inessenziali per originare la materia oscura. Penso che i due tipi di materia – ordinaria e oscura – siano in relatà due facce di una stessa medaglia, che ci sia cioè una simmetria che le lega strettamente; ma, allora, se è così, il candidato di materia oscura dovrebbe essere una particella che è solo 4–5 volte più pesante di un protone. Che ne dici, si può fare una teoria cosi’?” Colto di sorpresa, gli dico che mi pare difficile, che allora materia ordinaria e oscura dovrebbero interagire di più tra loro, etc., ma lui ribatte a ogni punto. Scopro poi che qualche amico cosmologo ci sta pensando. Roberto aveva ragione, si può fare un modello di questo tipo: oggi è una delle teorie della materia oscura, la cosiddetta “materia oscura asimmetrica”.

Nella sua veste di presidente dell’INFN Roberto ha immesso questa sua spinta visionaria nel progetto SuperB. Il progetto e il suo iter sono stati già descritti nel precedente ricordo di Dionisi. Ho a lungo interagito con lui su questo progetto. Roberto era animato da due pensieri fissi. Il primo era la convinzione (avvalorata dal parere di più comitati nazionali e internazionali) che il progetto fosse profondamento innovativo dal punto di vista tecnologico e potenzialmente molto importante per i suoi risultati scientifici. Che avesse visto giusto in questa direzione è provato dal fatto che, come osservava Dionisi, oggi un’infrastruttura di ricerca giapponese si basa proprio sull’idea innovativa (dovuta, in primis, a Pantaleo Raimondi) che stava alla base di SuperB. Il secondo pensiero di Roberto era la convinzione che l’INFN e in particolare il suo laboratorio più grande e storicamente più importante, quello di Frascati, potessero dare origine a un grande progetto scientifico che doveva costituire un volano significativo per un processo di sviluppo e innovazione tecnologica di grande impatto sul nostro mondo industriale e sull’intero Paese.

L’idea, la visione di Roberto erano una grande sfida; come lui mi ripeteva, era un modo di mostrare che la ricerca italiana, ma più in generale l’Italia, non gioca solo in difesa cercando di salvaguardare quello che esiste, ma si mette in gioco puntando su un progetto innovativo di grande impatto sulla società. La mancanza di risorse adeguate, menzionata da Dionisi, e la mancanza di un’integrazione del processo top-down che era stato promosso con un reale coinvolgimento bottom-up (essenziale in un ente come l’INFN) hanno decretato la fine del progetto. Tuttavia, la validità scientifica del progetto e la sua potenzialità di impatto sulla società rimangono quali frutti di una profonda visione di Roberto.

Infine, concludo questo mio ricordo con una delle sfide più belle vinte da Roberto: quella di preservare e rafforzare quello che Roberto chiamava “uno dei più preziosi gioielli della ricerca italiana”, l’INFN. Anche qui, in un momento in cui si parlava di una grande riforma degli enti di ricerca che doveva cambiare la struttura della loro governance, Roberto, quale presidente dell’INFN, difendeva una sua visione di un ente che, ricco di un patrimonio storico di eccellenza, potesse mantenere la sua autonomia, potesse salvaguardare quel suo ordinamento in cui il processo decisionale passa attraverso un ascolto di tutto l’ente mediante i direttori delle sue strutture. E questa è una grande e faticosa sfida che Roberto ha vinto, qui la sua visione ha prevalso su altre logiche. È un grande dono che Roberto ha fatto all’INFN e, penso, più in generale alla ricerca italiana.

L’Oxford dictionary definisce “vision: The ability to think about or plan the future with imagination or wisdom”. Con la scomparsa di Roberto, abbiamo perso uno dei pochi visionari nel mondo della ricerca con “imagination and wisdom”.


Antonio Masiero
Università di Padova
Vicepresidente dell’INFN