Pietro Greco (1955-2020)

Pietro Greco

Il 18 dicembre 2020 ci ha lasciato Pietro Greco, autorevole giornalista scientifico, prolifico scrittore e maestro di generazioni di giornalisti scientifici. Una scomparsa inattesa e assurda perché Pietro Greco continuava a lavorare con passione costante, scrivendo, insegnando, organizzando, con una facilità di scrittura che lasciava sorpresi tutti coloro che lo conoscevano.

Solo due giorni prima della sua scomparsa, Pietro Greco aveva tenuto una lezione per gli studenti del corso di Divulgazione e formazione naturalistica dell’Università di Padova e in questa occasione ci ha lasciato una testimonianza della sua esperienza di giornalista e comunicatore della scienza. Ha raccontato la sua storia professionale, non perché la ritenesse di alcuna importanza in sé, ma perché rappresentava una testimonianza dei profondi cambiamenti avvenuti nella società e nella scienza in Italia e nel mondo, dagli anni Ottanta del secolo scorso ad oggi.

Con la modestia e la dolcezza ben note a tutti coloro che lo hanno conosciuto, anche solo per pochi giorni come il sottoscritto, aveva definito la sua biografia un “raccontino”. Invece era la storia densa ed entusiasmante di una vita di battaglie culturali. Le battaglie di un uomo convinto del valore e del ruolo sociale della scienza, della possibilità di costruire una società più giusta ed effettivamente democratica attraverso la diffusione della cultura scientifica e dello spirito critico. Tuttavia, Greco non è stato un semplice testimone, e sarebbe questo sufficiente per un grande giornalista. Ha agito nel mondo in cui si è trovato a vivere, provando a determinare con la sua azione la direzione per la società, un “futuro desiderabile”.

Pietro Greco si era laureato in chimica ed aveva iniziato a lavorare come ricercatore presso il CNR, nell’ambito della chimica dei materiali polimerici. Ma, come confessava con un sorriso, era un lavoro che non lo appagava. Il suo amore per la scrittura lo fece approdare nella primavera del 1987 alla redazione dell’Unità, quando il giornale aveva deciso di stabilire, primo in Italia, una pagina quotidiana di scienza. Dopo un solo anno come collaboratore, gli venne offerto un contratto a tempo indeterminato nella redazione del giornale, in quel momento uno dei maggiori quotidiani nazionali. Il giovane Pietro Greco rifiutò l’offerta, una decisione che sembrava incomprensibile allora e lo è ancor di più oggi. Greco preferì continuare a lavorare al giornale senza diventare giornalista a tempo pieno, dividendo il suo tempo fra Roma e Ischia e rinunciando a una rapida carriera interna al giornale.

I motivi della decisione, come racconta lui stesso, erano due e sono importanti per comprendere l’uomo, l’intellettuale e il suo modo di lavorare. Il primo: era restio a lasciare la sua isola e la sua famiglia per trasferirsi a Roma. Sperava (un po’ illudendosi) di non trascorre troppo tempo lontano dalla moglie e dai figli. Il secondo: aveva bisogno di tempo per studiare. Per diventare un buon giornalista scientifico, raccontava, era necessario studiare e il lavoro quotidiano in redazione non gli avrebbe lasciato questo tempo. Doveva studiare tutte le scienze non solo per comprenderne gli ultimi sviluppi, ma abbastanza profondamente da capire (come diceva lui stesso, citando Einstein) dove “la scarpa fa male”, dove si nascondono i problemi e quali sono le prospettive di crescita delle diverse scienze. E solo dopo aver studiato poteva scrivere e insegnare.

Per tenere fede a questi due impegni, Greco ha trascorso i successivi quattro decenni della sua avventura professionale viaggiando ininterrottamente in treno attraverso l’Italia, e continuando a studiare pur mentre scriveva, organizzava, insegnava. In treno si scusava con gli amici o colleghi che lo accompagnavano, spiegando che non avrebbe parlato molto durante il viaggio perché “adesso devo scrivere”.

È impossibile sintetizzare in poche righe la multiforme, inesauribile attività di Pietro Greco. Ma c’è un filo conduttore chiaro, una motivazione profonda. Per Greco, la comunicazione della scienza è lo strumento essenziale per una scienza volta al bene dell’umanità. Ricordo qui solo due dei suoi innumerevoli progetti: la scuola di comunicazione scientifica di Trieste e il Bo Live, giornale dell’Università di Padova. All’inizio degli anni novanta, Greco, insieme al collega Franco Prattico e il fisico Paolo Budinich, fonda la prima scuola di comunicazione della scienza in Italia, il Master in Comunicazione della Scienza presso la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste. Ne fu a lungo vicedirettore e poi direttore.

La scuola non nasceva da un desiderio astratto di divulgazione, ma raccoglieva un’esigenza sociale di comunicazione scientifica, in conseguenza del mutato rapporto fra scienza e società. Si era diffusa una domanda di cittadinanza scientifica, come Greco la definiva. Era una domanda di compartecipazione consapevole alle scelte politiche su problemi fondamentali come l’utilizzo delle risorse naturali o il confine fra vita e morte. La crescita della cultura scientifica doveva passare quindi attraverso la formazione di giornalisti scientifici competenti.

Con Prattico e Budinich, Greco condivideva le due idee fondamentali sulla modalità e la finalità della scuola. In primo luogo, il gruppo docenti doveva essere formato in egual misura da giornalisti e scienziati, esempio concreto di una scuola che supera le barriere e le incomprensioni fra le “due culture”. Tra i docenti della scuola, Greco invitò infatti anche scrittori, come Claudio Magris e Bruno Arpaia. Inoltre, la scuola non doveva essere meramente professionalizzante, ma un luogo di approfondimento e dibattito culturale, animato dall’interesse per la conoscenza fine a se stessa.

Negli ultimi anni, Greco è stato caporedattore del Bo Live, il giornale “cross- mediale” dell’Università di Padova, diretto da Telmo Pievani. Il Bo Live di Greco e Pievani è una interpretazione nuova dell’attività di terza missione delle università. Non è un giornale che si limita a diffondere come un bollettino i risultati delle ricerche dell’Ateneo: la sua finalità è la condivisione della cultura globalmente espressa dall’Università, instaurando un dialogo fra l’Università e il resto della società, un dialogo necessario a entrambe. In questo modo la terza missione diventa uno strumento efficace per soddisfare le richieste di cittadinanza scientifica nella società. Il notevole successo nazionale di questa iniziativa sta dimostrando che questa domanda è diffusa e le università possono e debbono svolgere un ruolo importante. Questa domanda sociale “o viene soddisfatta dalle università, oppure troverà altre fonti e altre forme. Non tutte pubbliche e non tutte trasparenti”, scriveva Greco.

Pietro Greco era mite, quasi timido. Quando parlava, colpiva la sua modestia. Questa era un aspetto del suo rigore intellettuale, il modo di essere di un uomo convinto che non si doveva mai smettere di studiare se si voleva comprendere il mondo e intervenire in esso. E la scienza è lo strumento per questa azione consapevole nel mondo.

Greco è stato un moderno uomo rinascimentale, sapeva muoversi con competenza fra i diversi campi della conoscenza. Nel suo ultimo libro “Homo. Arte e scienza” affronta proprio il tema del confronto fra le due culture, con la storia del rapporto stretto tra scienza e creatività artistica, dalle pitture rupestri al mondo contemporaneo.

A settembre del 2020, durante il Festival di Filosofia di Ischia ho avuto la fortuna di tenere con Pietro Greco una lunga lezione sul tempo in fisica a una classe di studenti. L’unica mia lezione dal vivo per quell’anno. Il ricordo più forte è quello della sua autorevolezza e gentilezza insieme. La sua autorevolezza si esprimeva sempre con un sorriso, con uno sguardo luminoso e dolce.

La scomparsa di Pietro Greco lascia un vuoto e un dolore profondi. Mancherà un punto di riferimento per tutti coloro che si interessano di scienza in Italia. Ma ci lascia il testimone di una battaglia culturale per una società più giusta, basata sulla conoscenza e sulla ragione. È un impegno che dobbiamo a lui e a noi. È un invito che ci ha lasciato – con il suo stile poetico, garbato eppure deciso – in uno dei suoi ultimi articoli su Scienza in Rete, presentando il recente libro di Pievani: “Possiamo spenderla, questa nostra precaria eppure preziosa esistenza, per costruire insieme un futuro desiderabile. Non siamo forse noi esseri finiti che conoscono l’infinito?”


Giovanni Covone
Università di Napoli