Benedetto D'Ettorre Piazzoli (1942-2022)

Benedetto D’Ettorre Piazzoli si è spento il 7 febbraio 2022, dopo una breve malattia. Era nato a Roma il 27 aprile 1942.
Professore Ordinario di Fisica Generale presso il Dipartimento di Fisica dell’Università “Federico II” di Napoli ha insegnato a lungo (1990–2012) Esperimentazioni di Fisica II e Fisica Astroparticellare facendosi apprezzare dagli studenti non solo per la chiarezza e puntualità delle lezioni, ma per la sua costante disponibilità a riceverli e seguirli. La sua figura occupa un posto singolare all’interno dell’INFN, in cui ha lavorato fin dall’inizio della sua carriera scientifica, ricoprendo poi posizioni di grande rilievo nella direzione dell’ente: membro della Commissione Scientifica Nazionale 2 (1993–1999), direttore della Sezione INFN di Napoli (1999 – 2004), membro della Giunta Esecutiva dell’INFN negli anni 2004–2011 e vicepresidente dell’INFN nel periodo 2006–2009.
La singolarità consiste nell’aver valorizzato all’interno dell’ente, accanto alla fisica delle particelle elementari, patrimonio dell’INFN dai tempi della sua fondazione, anche la fisica della radiazione cosmica che, dopo l’introduzione degli acceleratori, era divenuta gradualmente marginale come sorgente di nuove particelle.
La recente scoperta delle onde gravitazionali dimostra quanto lungimirante fosse la visione di Benedetto di integrare lo studio dei messaggeri cosmici (fotoni, raggi cosmici carichi, neutrini e onde gravitazionali) con le interazioni che si studiano comunemente agli acceleratori.
La sua carriera scientifica comincia negli anni 1967-1970 con una borsa di studio presso i Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, dove partecipa al grande processo di innovazione della fisica di particelle che si svolge attorno ad Adone, primo collisore interamente dedicato allo studio dell’interazione elettrone-positrone a momento trasferito mai raggiunto prima.
Poco dopo però, nel 1971, ottiene un posto di ricercatore nell’Istituto di Cosmogeofisica del CNR di Torino dove il suo interesse scientifico si rivolge allo studio della Fisica Cosmica sotto la guida di Carlo Castagnoli e di Kurt Sitte dell’Università di Friburgo.
In questa fase della sua vita Benedetto mette insieme le sue competenze di fisico sperimentale acquisite nella fisica di particelle per assumere un ruolo di primo piano nella realizzazione dei primi rivelatori a tracciamento in Italia per lo studio sia della radiazione cosmica, in particolare della componente muonica degli sciami estesi, sia della fisica di particelle. Un calorimetro di tubi a streamer e ferro realizzato con più di 47000 rivelatori su 136 piani posto a grande profondità sotto il Monte Bianco, NUSEX, con una massa attiva totale di circa 150 tonnellate, è stato il primo esperimento dedicato alla misura della vita media del nucleone.
Negli anni ’80 del secolo scorso una scoperta sorprendente, di cui Benedetto fu uno degli autori e che avrebbe avuto una profonda influenza sulla sua attività scientifica, fu l’osservazione che alcune sorgenti galattiche (Cygnus X-3, Hercules X-1) ed extragalattiche (LMC) sembravano emettere fotoni di altissima energia, ben superiore al TeV.
Un’ipotesi per spiegare l’emissione di fotoni di così alta energia è che questi provengano dal decadimento di pioni neutri generati da interazioni adroniche. La conseguenza naturale era che insieme ai pioni neutri che decadono in fotoni dovevano essere prodotti anche fotoni carichi che decadono in neutrini.
L’idea di poter osservare le stelle come sorgenti di neutrini affascinò Benedetto che, insieme a due colleghi studiò la possibilità di utilizzare allo scopo un tracciatore multistrato di RPC, un rivelatore a quei tempi di recente invenzione. Così nacque il progetto SINGAO, un rivelatore massivo capace di tracciare i muoni prodotti dall’interazione dei neutrini e riconoscerne il verso di transito grazie alla elevata risoluzione temporale degli RPC. Tuttavia, prima che si formulasse una proposta, risultati di esperimenti in corso dimostrarono che l’area sensibile necessaria allo scopo avrebbe dovuto essere superiore a 105 m2 . L’impossibilità di realizzare aree così grandi decretò la fine di SINGAO come rivelatore di neutrini.
Un evento importante per la futura attività scientifica di Benedetto fu l’incontro nel 1986 con Youshen Tan dell’IHEP di Pechino che gli parla del progetto di realizzare a YangBaJing (Tibet, 4300 m di quota) un apparato di sciame in collaborazione con i giapponesi. Grazie a questo incontro, Benedetto mette a fuoco due punti che si riveleranno fondamentali per tutto il resto della sua carriera scientifica: l’importanza di lavorare ad altissima quota per abbassare la soglia di energia nella rivelazione dello sciame e l’interesse per una politica scientifica che includesse la collaborazione con l’Accademia Sinica.
Nei suoi rapporti successivi con l’INFN, Benedetto dovette purtroppo constatare che i tempi non erano ancora maturi per realizzare tali idee. Tuttavia questo lo animò a proseguire nello studio degli sciami atmosferici estesi con l’esperimento EAS-TOP, a Campo Imperatore presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN, di cui fu uno dei proponenti.
EAS-TOP fu un esperimento pioniere nell’utilizzo di componenti diversi per rivelare le differenti parti di uno sciame esteso: scintillatori plastici per misurare la componente elettromagnetica, rivelatori di muoni, telescopi per osservare la luce Cherenkov prodotta in atmosfera, antenne per misurare l’emissione radio e un calorimetro adronico, di cui Benedetto fu l’ispiratore, per indagare le caratteristiche della componente adronica.
L’esperimento produsse perciò una varietà di risultati diversi: la misura dello spettro e composizione della radiazione cosmica primaria nell’intervallo energetico 1014–1016 eV; lo studio dell’anisotropia nella distribuzione delle direzioni di arrivo della radiazione cosmica; la misura della sezione d’urto p-aria e pp a √ s = 2 TeV; lo studio delle interazioni adroniche e della produzione di eventi a grande impulso trasverso pT e infine uno dei limiti più stringenti al flusso dei neutrini astrofisici, tramite l’osservazione dei cosiddetti “sciami orizzontali” generati da primari con angoli zenitali maggiori di 60°.
L’interesse di questi risultati suggerisce a Benedetto e due suoi colleghi (Pio Pistilli e Rinaldo Santonico) l’idea di utilizzare uno solo degli strati di RPC previsti per SINGAO per rivelare sciami indotti da fotoni prodotti nella Crab Nebula ed eventualmente in altre sorgenti. Lo studio dell’astronomia gamma al suolo richiedeva di abbassare l’energia di soglia sotto al TeV e per farlo era necessario aumentare l’altitudine del rivelatore e avere un rivelatore a copertura totale (‘full coverage’). Il Tibet si presentava di nuovo come il sito ideale per realizzare l’idea.
Il workshop sui raggi cosmici tenuto a Lhasa nel 1994 rappresentò una eccellente occasione per presentare ufficialmente per la prima volta la proposta di un tappeto di RPC ad alta quota. I risultati mostravano che un rivelatore a gas poteva funzionare anche a 4300 m di quota con opportune tensioni di lavoro e miscele di gas.
La proposta fu presentata alla CSN2 dell’INFN nello stesso anno. La discussione relativa mise a fuoco le non poche difficoltà dell’impresa: il lavoro ad altitudini considerate proibitive, l’inospitalità di un laboratorio situato in una regione remota come il Tibet e non ultimo il problema se considerare l’astronomia gamma come un argomento di interesse strategico per l’INFN. Infine la commissione autorizzò, con poche risorse, un test in Tibet che avrebbe messo alla prova la fattibilità dell’impresa e la determinazione dei proponenti.
Il test risultò di grande successo sia dal punto di vista tecnico, perché gli RPC funzionarono benissimo, sia da quello scientifico, perché malgrado le dimensioni ridottissime del rivelatore si acquisirono eventi di sciame abbastanza interessanti da meritare una pubblicazione su Astroparticle Physics.
Finalmente, grazie alla visione lungimirante di Benedetto e alla sua perseveranza nel convincere l’INFN ad aprire nuove piste di ricerca, la strada era aperta a un grande esperimento di astronomia gamma con caratteristiche altamente innovative, che fu battezzato col nome di ARGO, evocando un essere straordinario che coi suoi cento occhi osserva il cielo senza mai dormire.
ARGO è stato un esperimento innovativo da diversi punti di vista. Dal punto di vista tecnico una caratteristica importante è stata quella di portare nella fisica dei raggi cosmici il know-how dinamico degli esperimenti di acceleratore. ARGO ha sfruttato sviluppi tecnologici a suo tempo recentissimi: un rivelatore gassoso di elevate prestazioni ancora quasi sconosciuto nella fisica dei raggi cosmici, equipaggiato con elettronica di front end Ga-As; sistemi avanzati di acquisizione dati; architettura di trigger basata su FPGA programmabili.
Malgrado queste ardite innovazioni, ha operato per circa 5 anni con alta efficienza e duty cycle (~90%) raccogliendo circa 500 miliardi di eventi. Un rivelatore che ha funzionato con continuità per diversi mesi senza alcuna presenza.
Dal punto di vista dei risultati prodotti in astrofisica l’innovazione di ARGO è principalmente l’idea del “full coverage” che, insieme alla lettura analogica dei segnali di sciame, ha permesso di coprire un intervallo di energia di ampiezza senza precedenti: da circa 300 GeV fino ad alcuni PeV. Inoltre la grande capacità di imaging del rivelatore ha reso possibile un grande progresso nello studio della fenomenologia dello sciame, permettendo di misurarne il profilo, lo spessore del fronte e la distribuzione di densità di particelle intorno al core con risoluzione senza precedenti.
Vale la pena ricordare qui i principali risultati scientifici di questo esperimento a cui Benedetto ha dedicato tutte le sue energie e tutta la sua determinazione nel convincere l’INFN a supportarlo.
Nella fisica dei raggi cosmici: le prime dettagliate osservazioni di anisotropia della radiazione cosmica a partire dal TeV a differenti scale angolari; la determinazione dell’energia del ginocchio dei protoni a circa 700 TeV; la misura della sezione d’urto p-aria e pp ad energie nell’intervallo √ s = 70–500 GeV, dove non vi erano misure da acceleratori (risultato citato nella compilazione del Particle Data Book); il migliore limite al flusso di antiprotoni nella radiazione cosmica alle energie del TeV.
In astronomia gamma: la prima osservazione della regione del Cygnus Cocoon ai TeV (sorgente vista recentemente da LHAASO fino a 1.4 PeV!) con la prima evidenza di una possibile origine adronica dell’emissione; le numerose osservazioni di emissioni flaring da sorgenti extragalattiche come la Mrk421 e la Mrk501; una survey delle emissioni gamma dall’emisfero Nord con la migliore sensitività dell’epoca (circa 0.24 flusso Crab); lo studio dell’emissione diffusa dal piano galattico e lo studio di possibili emissioni gamma da un campione di ben 206 GRBs.
Infine una nota di rammarico è che i fondi disponibili non consentirono l’installazione del tappeto di RPC proposto con un’area di 120 × 120 m2, che avrebbe permesso di avere una sensibilità comparabile all’esperimento HAWC con due decenni di anticipo.
Va sottolineato infine che l’esperimento ARGO ha rappresentato il primo esempio di grande collaborazione scientifica tra l’INFN e l’Accademia Cinese delle Scienze nel settore di Fisica Astroparticellare e Multi-Messaggera di cui Benedetto è stato sicuramente uno dei pionieri.
Come ricordato, Benedetto ha contribuito anche ad esperimenti di fisica delle particelle elementari con acceleratori.
Durante il funzionamento degli esperimenti per studiare i raggi cosmici sottoterra come NUSEX (negli anni ottanta) Benedetto è infatti entrato a far parte del gruppo italiano che lavorava al CERN nelle collaborazioni NA1, NA7 ed ALEPH lavorando essenzialmente all’hardware dei rivelatori e al software di ricostruzione.
Questo periodo si è rivelato per lui molto importante poiché gli ha consentito di lavorare a nuovi rivelatori gassosi come MWPC, camere di deriva, tubi streamer e la relativa elettronica di lettura. Ha partecipato alla progettazione e alla costruzione delle camere per il rivelatore di vertice di NA1 e NA7 e alla costruzione del calorimetro adronico ALEPH. Ha quindi portato avanti un vasto programma per studiare miscele di gas a basso contenuto di idrocarburi acquisendo una grande esperienza nella costruzione e funzionamento dei rivelatori utilizzati poi con successo negli esperimenti NUSEX, EAS-TOP e ARGO-YBJ.
L’approccio di Benedetto alla ricerca è stato sempre ispirato a un grande rigore scientifico. La solidità delle sue conoscenze scientifiche, la sua correttezza e il suo rigore gentile unito a un costante entusiasmo per lo studio della fisica sono stati sempre di grande ispirazione per tutti coloro che hanno lavorato con lui e per i tanti giovani che ha formato nel corso degli anni.
Anche durante le ultime telefonate avute quando era in ospedale abbiamo continuato a programmare studi e analisi e a commentare, come sempre, gli articoli scientifici che avevamo letto nelle settimane precedenti. Aveva molti interessi ma l’amore e la dedizione per la fisica, per lo studio di nuovi fenomeni, e una meraviglia quasi infantile per nuove osservazioni e risultati sono sempre stati una costante della sua vita.
La sua personalità umana, pur con un approccio estremamente rigoroso all’attività di lavoro, è stata quella di un carattere mite e rispettoso degli altri. La sua vita privata è stata sempre ispirata dal legame profondissimo che aveva con sua moglie Gabriella, che gli fu sempre vicina nella sua attività e che lo accompagnò spesso nei viaggi di lavoro. Non dimenticheremo la sua vivace presenza nel viaggio che facemmo, attraverso il Tibet e il Nepal, insieme al gruppo di colleghi che parteciparono alla conferenza di Lhasa del 1994.
Dopo la morte prematura di Gabriella, Benedetto, pur nei suoi molteplici impegni di lavoro, visse in solitudine, accompagnato dai suoi fedeli cani ai quali prodigava cure e affetto simili a quelli con cui avrebbe trattato esseri umani.
Rinaldo Santonico
Dipartimento di Fisica Università Roma Tor Vergata
Giuseppe Di Sciascio
INFN, Sezione di Roma Tor Vergata