Marcello Cresti (1928–2020)

Marcello Cresti si è spento il 2 gennaio. Era nato a Grosseto il 24 aprile del 1928, aveva studiato fisica alla Scuola Normale Superiore, periodo di cui si legge qui del suo compagno di corso Renato A. Ricci, laureandosi nel 1950 con un rivelatore di raggi cosmici. Ne costruì i contatori Geiger, di vetro ricoperto internamente di alluminio, e i circuiti di coincidenza. Non ottenne risultati scientifici, ma la fisica sperimentale e i raggi cosmici lo affascinarono.
Erano gli anni della ricostruzione dopo la dittatura e la guerra. Le strutture per la ricerca stavano faticosamente rinascendo, ma a Pisa non c’era ancora attività sperimentale significativa; sarebbe iniziata presto con l’arrivo di M. Conversi. Strutture, avanzate per l’epoca, per lo studio dei raggi cosmici esistevano invece a Padova. Qui Antonio Rostagni aveva ottenuto nel 1947 l’approvazione da parte del CNR dell’istituzione di un Centro dedicato, chiamato “degli Ioni Veloci” (elemento fondante con Torino, Milano e Roma dell’INFN nel 1951), “regolarmente finanziato, sia pure in maniera modesta”, e aveva stabilito collaborazioni internazionali, in particolare con P. M. S. Blackett a Manchester e C. F. Powell a Bristol. Erano i loro i laboratori all’avanguardia per i rivelatori, camere di Wilson e emulsioni nucleari. Le esposizioni avvenivano in laboratori ad alta quota in montagna e in voli di palloni. Rostagni aveva ottenuto dalla SADE (Società idroelettrica) l’uso di una capanna al Piano Fedaia (2000 m. s. m.) sulle pendici della Marmolada. Il rivelatore principale era una camera di Wilson con elettromagnete, un progetto iniziato da Bruno Rossi, prima di essere costretto a lasciare l’Italia dalla barbarie delle leggi razziali, e completato nel 1950, ad opera di Italo Filosofo. Una seconda camera di Wilson, a piastre, costruita a Göttingen, fu successivamente installata da Martin Deutschmann. Nel 1951 Rostagni stava reclutando giovani brillanti per lavorarci e Cresti fu tra questi. Si ottennero risultati sugli sciami estesi della radiazione cosmica e sulla produzione di pioni e particelle strane. Marcello ricorderà sempre quegli anni giovanili in cui, mentre imparava il mestiere, i raggi cosmici divenivano strumentali allo studio delle nuove particelle elementari, le particelle strane. Lo furono sino all’entrata in funzione di un acceleratore di protoni di energia sufficiente, il Bevatron, a Berkeley nel 1954.
E nel 1956, Cresti si trasferì all’UCRL (University of California Radiation Laboratory), come si chiamava quello che è ora LBNL. Vi rimarrà due anni nell’ “A group”, il gruppo creato da Luis Alvarez a partire dal 1955. Berkeley era un luogo speciale, alla frontiera della fisica delle nuove particelle, e per il clima del lavoro, tipicamente americano, nella versione di stile di Alvarez. Si deve osare, e se si sbaglia lo si ammette, non importa, ricominci con qualcos’altro. Qualche volta funziona, qualche altra ti prendono in giro. Marcello risuonò con lo stile e imparò il mestiere, e incontrò la compagna della vita. Venne a contatto con le tecnologie d’avanguardia che nel gruppo si sviluppavano: le camere a bolle a idrogeno (15’’ la prima), i fasci da protoni estratti, i dispositivi di misura semiautomatica dei fotogrammi, come il Frankenstein (dal nome dell’inventore, J. Franck), e gli algoritmi e codici per la ricostruzione spaziale delle tracce, l’analisi cinematica e gli strumenti statistici per l’analisi fisica, sviluppati da Frank Solmitz (e poi adottati in tutto il mondo). Il primo calcolatore digitale, un IBM 650, era appena stato ordinato. Questo insieme di tecniche condurrà alla scoperta delle risonanze mesoniche e alla determinazione dei loro numeri quantici nei primi anni 1960 (Nobel a Alvarez nel 1968). Con Alvarez presidente, Marcello organizzerà, come segretario, nel 1964 il XXXIII corso della Scuola Internazionale di Fisica “Enrico Fermi” della SIF a Varenna “Strong interactions”. A Berkeley aveva contribuito, tra l’altro, alla scoperta, del 1957, di violazione di parità in assenza di neutrini, nel decadimento dell’iperone Λ.
Tornato nel 1958 a Padova con questo ricco bagaglio di conoscenze, Marcello creò, oltre a un gruppo di ricercatori e tecnici, gli strumenti per la fisica con camere a bolle. Al CERN alla fine del 1959 entrava in funzione il PS. Per avere un fascio di antiprotoni, Cresti realizzò il, primo in Europa, separatore elettrostatico. A Padova costruì gli strumenti per la misura semiautomatica dei fotogrammi con due Frankenstein. L’evoluzione della tecnologia condurrà il gruppo alla realizzazione, in collaborazione con Oxford, dello strumento completamente automatico PEPR negli anni 1970.
Non c’erano molti calcolatori elettronici in Italia alla fine degli anni 1950, le reti telematiche erano di là da venire. Pacchi di schede perforate “IBM” con le coordinate misurate venivano portati ai centri di calcolo del CNEN, a Ispra e successivamente a Bologna, per processarle. Su schede perforate si realizzavano anche le istruzioni dei programmi. I bilanci INFN e universitari erano allora modestissimi, ma Marcello riuscì ad avere a condizioni favorevoli dall’Olivetti nel 1962 un’ELEA 9003, calcolatore mainframe, italiano, completamente transistorizzato. Su di esso furono scritti a Padova i programmi di analisi e, inoltre, fu la base per il centro di calcolo dell’università. L’impegno per rendere disponibili alla comunità scientifica grandi mainframe proseguirà, unendo le forze con Giuseppe Mannino (Direttore dell’Osservatorio Astronomico di Bologna), sino a realizzare nel 1967 il consorzio interuniversitario CINECA, che diverrà strumento essenziale per tutta la ricerca italiana.
L’attività di ricerca del gruppo Cresti negli anni 1960 e '70 fu rivolta alla fisica dei mesoni K, in particolare del K * , e degli antiprotoni, sia nello studio delle caratteristiche del processo di annichilazione, su neutroni (in deuterio) e su protoni, sia a riposo sia in volo, sia delle risonanze da essi prodotti. Allo scopo di realizzare un fascio di antiprotoni di caratteristiche spinte, Cresti passò un anno al CERN nel 1975-76, e fece la misura della massa dell’antineutrone, ancora oggi la più precisa.
Con l’entrata in funzione al CERN nel 1976 del SPS che accelerava protoni sino a 300 GeV, le dimensioni delle camere a bolle divennero insufficienti per l’analisi magnetica dei secondari. Cresti col suo gruppo partecipò, in una vasta collaborazione europea, al progetto di un nuovo strumento, l’European Hybrid Spectrometer, con una camera a bolle a ciclo rapido seguita da uno spettrometro magnetico con camere multifili (parzialmente a Padova) e a deriva, una TPC (la prima realizzata - Oxford) per l’identificazione di particella e calorimetri di vetro al piombo (Padova). Si misurarono le vite medie e si studiarono le caratteristiche dei mesoni con charm. Successivamente, Cresti col suo gruppo partecipa all’esperimento DELPHI al LEP. Ci vorranno sette anni per costruirlo e, a partire dal 1982, prenderà dati sino al 2000.
Cresti aveva vinto il concorso alla cattedra di Fisica generale bandito da Padova nel 1965 e gli impegni didattici e manageriali andavano crescendo. Dal 1968 al 1972 fu direttore della Sezione di Padova dell’INFN. Nel 1972 entrò in essere la nuova struttura dell’INFN voluta da Claudio Villi Presidente, che è quella, nella sostanza, ancora in essere. Cresti fu nominato presidente della Commissione Scientifica Nazionale 2, che allora era responsabile delle tecniche visualizzanti (assumerà i compiti attuali, sua mia proposta come suo presidente, nel 1984). Dal 1971 al '73, egli fu presidente del Track Chamber Committee, il comitato del CERN, che proponeva l’approvazione degli esperimenti con camere a bolle e assegnava il tempo macchina. E crebbero gli impegni universitari, come Preside della Facoltà di Scienze MSN dal 1981 al 1984 e Rettore dell’Università di Padova nel successivo triennio.
Ma Marcello non aveva dimenticato la fisica, anzi, finiti gli impegni nel governo dell’università, poco incline alle enormi dimensioni che avevano assunto le collaborazioni degli esperimenti al CERN, nel 1989 tornò agli amori giovanili, i raggi cosmici in alta montagna. Con collaboratori a Padova ed un gruppo di Pisa progettò e costruì l’esperimento CLUE per osservare i gamma cosmici di alta energia, messaggeri di sorgenti e fenomeni astrofisici violenti. L’idea era di rivelare la componente ultravioletta degli sciami estesi prodotti nell’atmosfera con una tecnica innovativa. Ma l’avevano sovrastimata. Come egli stesso dirà in un’intervista, “mi dispiace dell’insuccesso, ma l’esperienza è stata divertente”, con lo stile di Berkeley. E fu questo l’inizio dell’attività italiana di astrofisica delle alte energie a Roque del los Muchachos (2423 m. s. m.) nell’isola La Palma delle Canarie, accanto ai grandi telescopi ottici. Nel 2000, Marcello si ritirò dall’Università e dall’INFN, ma l’impresa continuerà con i telescopi MAGIC e, in corso di realizzazione, la grande schiera di telescopi CTA.
Dopo aver tenuto alcuni corsi come professore incaricato (ricordo con piacere il “Cresti-Guerriero-Zago”, prezioso libretto che ci insegnò le basi del laboratorio), da professore ordinario Cresti insegnò Fisica generale nel corso di laurea in fisica, preferendo quasi sempre il primo anno, là dove si spiegano i concetti di base. Fu amato dalle successive classi di studenti non solo per la chiarezza delle lezioni, ma per la sua costante disponibilità a riceverli e per il suo stile semplice e lontano da ogni formalità. E così lo fu da quanti ebbero la fortuna di lavorare con lui, in qualsiasi funzione, e che ora lo piangono.
A. Bettini
Università di Padova
Ricordare Marcello significa per me, oltre che un compito affettuosamente doloroso, ripercorrere un periodo forse lontano e soltanto propedeutico alla vita e alla carriera di entrambi, trascorso insieme quasi in sintonia fraterna, e storicamente importante nella evoluzione sociale e culturale del nostro paese. Parlo degli anni dal 1946 al 1950, gli anni dell’immediato dopoguerra quando tutto era e doveva essere ricostruzione insieme con la volontà di risorgere, dalle macerie delle strutture fisiche e morali delle città, delle istituzioni, delle istanze culturali e sociali ed anche politiche affrontando fatiche e disagi, con coraggio e umiltà, giovani e anziani, studenti e docenti di ogni ceto ed estrazione ciascuno consapevole del proprio compito e delle proprie responsabilità. Così ci incontrammo Marcello ed io nell’ottobre del 1946 ad affrontare l’esame di ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa, nella classe di scienze, per poi iscriverci all’Università, lui proveniente da Grosseto originario della Maremma (Toscana del Sud) io da La Spezia, ma di origine lunigiana (Pontremoli, Toscana del Nord).
A Pisa ci trovammo quindi entrambi con l’idea comune di superare il biennio di fisica senza gravare finanziariamente sulle proprie famiglie e poi passare ad ingegneria, laurea più attraente dal punto di vista economico. Accadde invece che, trascorso con successo il biennio, scoprimmo entrambi che era la fisica il nostro destino: ci laureammo nella stessa sessione di laurea nel dicembre 1950, lui con una tesi sperimentale (Rivelatori per Raggi cosmici) con il prof. De Donatis, io con una tesi teorica (Fisica Atomica) con il prof. Derenzini con successo per il conseguimento della laurea, con fatica e ostinazione per le scarse possibilità e opportunità offerte da un Istituto, come quello di Fisica di Pisa, ancora in fase di riallestimento dopo i disastri della guerra.
Arrivammo alla laurea dunque dopo 4 anni di studio e di amicizia fraterna che ci avevano visto seguire e superare insieme i vari corsi di matematica, fisica, chimica e laboratori, quelli ordinari all’università e quelli complementari alla Normale, anni spesi anche a vivere la vita interna della scuola e seguendone le tradizioni culturali (seminari interni, ricerche bibliografiche, confronti scientifico-letterari, dibattiti politico-filosofici) e ovviamente goliardiche (tradizionale il “fare la camera” ossia disfare completamente mobili e suppellettili delle camere delle matricole).
MI accorgo di andar oltre l’usuale rito di parlare delle persone che ci lasciano. Ma sono certo che Marcello stesso avrebbe piacere di ricordare tempi ed episodi del periodo della sua giovinezza: l’università, la Normale, il gusto della cultura, gli amici, i compagni, la fatica dello studio, la soddisfazione di imparare, di riuscire, di avviarsi a fare qualcosa d’interessante, d’importante perfino.
Ottenuta la laurea le nostre strade si separarono. Marcello accolse l’invito di Antonio Rostagni di trasferirsi a Padova, dove si stava sviluppando uno dei più importante centri italiani di fisica dei raggi cosmici, settore che rientrava nelle sue corde. E di lì iniziò la sua carriera scientifica che Sandro Bettini racconta insieme con le attività didattica e organizzative dell’Ateneo padovano.
Una carriera intensa e, pure nel suo caso, abbastanza personalizzata come risulta anche dalla “Oral History Interview” di Alessandro De Angelis da cui traspare come l’importanza delle collaborazioni non offuschi i gusti e le scelte personali e come la modestia sia pari alla grande competenza e alla capacità di condurre ricerche di alto rilievo.
Quando nel 1967, 17 anni dopo, ci siamo ritrovati a Padova, essendo anch’io stato chiamato da Rostagni e da Villi per guidare lo sviluppo del Laboratorio di Legnaro, del resto col pieno supporto suo, oltre che di Carlo e Milla Ceolin, ci scambiammo il nostro bagaglio di esperienze e risultati: lui come “cosmicaio” e poi particellare, io come nucleare delle “basse energie”.
ll resto venne dopo e mentre io portavo avanti i programmi di Legnaro dall’Acceleratore Tandem in poi, Marcello contribuiva in modo importante all’evoluzione della fisica dei raggi cosmici verso la fisica delle particelle e agli esperimenti con i grandi acceleratori, come racconta Bettini. Ci eravamo suddivisi l’insegnamento del biennio di fisica generale per fisici succedendo a Rostagni.
Marcello trovò anche il tempo e la volontà di occuparsi dell’amministrazione universitaria accettando di essere eletto Rettore dell’Università di Padova, carica che tenne dal 1984 al 1987. Fu un’esperienza unica per la fisica padovana non solo per Marcello Cresti. Interessante comunque perché, sono sue parole: “...la ragione del mio coinvolgimento nell’amministrazione universitaria, sebbene alquanto divertente, non ha niente a che fare con la mia carriera scientifica... In ogni caso non lo rimpiango. è stata, per riprendere un commento di mia moglie Lee, un punto molto interessante di osservazione sul comportamento della gente verso di noi”. Quel che viene in mente a me di aggiungere è che, in ogni caso, si è trattato di una voce fuori dal coro.
La citazione del commento di Lee, la moglie americana, non è casuale. Quella vita comune durata fino alla morte di lei, nel 2012, dopo la grave malattia che ritengo abbia avuto molto a che fare con il suo completo ritiro nel 2000 da ogni attività universitaria e scientifica per dedicarsi a lei, è stato un suo modo di rivendicare la sua autonomia personale e l’intimità dei pensieri e degli affetti. Senza presunzione e con sorridente bonomia così come le volte che con mia moglie Claudine avevamo, in precedenza, avuto la possibilità di incontrarci.
Così come ci eravamo salutati ritrovandoci a Padova e pronunciando insieme quella parola “magica” “SINEDDOCHE” un mot de passe che lui si era inventato per entrare gratuitamente, come se fossimo giornalisti o persone accreditate, ad una manifestazione festiva a Pisa (il giorno di San Ranieri il patrono della città) scandendola in faccia ai guardiani attoniti ma accondiscendenti, lui davanti, io dietro, nel lontano 1947. Una parola d’ordine che ormai usavamo per salutarci.
La sera del 22 giugno vigilia del mio 92mo compleanno ho ricevuto un suo messaggio per posta elettronica: “Renato, mi ero preso nota della data, quindi mi sono ricordato di farti gli auguri. Tieni duro, non voglio diventare il più “maturo” dei sopravvissuti del dipartimento. Sineddoche! Marcello.“
Renato Angelo Ricci
Presidente onorario SIF
Laboratori Nazionali di Legnaro
Università di Padova