Emilio Chiavassa (1936–2020)

Il 25 Gennaio 2020 è mancato nella sua abitazione sulla collina torinese Emilio Chiavassa, assistito fino all’ultimo dalla moglie Alberta e dai figli Andrea e Giorgio.
Da più di cinque anni era stato colpito da un’inesorabile malattia che lo aveva costretto a letto, un supplizio per un uomo dinamico e sportivo quale era. Alle sue esequie, svoltesi il 27 gennaio al Cimitero Monumentale di Torino, era presente una folta folla, soprattutto di colleghi ed ex-studenti che volevano testimoniare il rispetto e l’affetto per uno scienziato di riconosciuto valore a tutti i livelli, internazionale, nazionale e locale e di grande umanità.
Nato a Torino il 19 Luglio 1936, si laurea in Fisica presso l’Università di Torino nel 1959 con una tesi di Fisica Nucleare sperimentale svolta al C.I.S.E. di Milano, relatore il Prof. Ugo Facchini, che per un paio d’anni era transitato all’Università di Torino. Nel 1960 fruisce di una borsa di studio dell’INFN, e nel 1961 diviene ricercatore dell’INFN. Dal 1964 al 1981 è Professore incaricato presso l’Università di Torino, dove tiene i corsi di Fisica per Chimici e poi Fisica per Matematici. Nel 1966 consegue la Libera Docenza in Fisica Nucleare, confermata nel 1971. Nel 1981 risulta vincitore del concorso a cattedra (raggruppamento FIS04) e viene chiamato dall’Università di Torino per ricoprire gli insegnamenti di Fisica del Neutrone e Fisica II per Fisici fino al 1° Novembre 2008 , in cui va in quiescenza. Dal 1981 al 1984 è Presidente del Corso di Laurea in Fisica e dal 1983 al 1986 è Coordinatore del Dottorato in Fisica.
Dal 1985 è l’Organizzatore del Corso Nazionale per dottorandi su Fisica Nucleare e Subnucleare di Otranto. Grazie alla sua passione per la Fisica Sperimentale e alla sua attenzione alla didattica Emilio è stato il fondatore della serie di seminari denominati “Giornate di Studio sui rivelatori”, che si svolgono ogni anno da quasi trenta anni e che sono rivolti in particolare ai giovani ricercatori e dottorandi.
Dal 1996 al 1999 è il Responsabile italiano dell’esperimento ALICE al LHC del CERN. Dal 1999 al 2005 è il Presidente della III Commissione Scientifica Nazionale dell’INFN (Fisica del Nucleo). Dal 2004 al 2007 è il Presidente del Comitato Scientifico Internazionale del progetto FAIR al GSI di Darmstadt. Dal 2010 è Socio corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Torino. Durante la sua lunga attività didattica è stato relatore di oltre un centinaio di tesi di Laurea (triennale, quadriennale, magistrale) e di più di una decina di tesi di Dottorato in Fisica. Ha tenuto molti Seminari in varie Università italiane e straniere.
Il consuntivo scientifico dell’attività di ricerca sperimentale di Emilio nei diversi settori della Fisica Nucleare (delle basse energie, delle energie intermedie, adronica, degli ioni pesanti relativistici e non) e della relativa strumentazione è documentato da più di trecento pubblicazioni su riviste internazionali e più del doppio di comunicazioni a Conferenze e Workshops internazionali e nazionali e viene brevemente riassunto nel seguito.
Parte I. Dai neutroni agli antineutroni
“Per favore, non chiamarmi Professore, ma
Emilio” fu la prima frase che mi rivolse Emilio
quando mi presentai nel novembre 1961 al
Gruppo Acceleratore per svolgervi la tesi di
laurea. Il Sessantotto doveva arrivare e tutti
noi studenti eravamo molto deferenti verso
gli insegnanti, e indipendentemente dall’età
li chiamavamo tutti Professore. Il Gruppo
Acceleratore era di recente costituzione, due o
tre anni, ed era nato abbastanza casualmente.
All’Istituto di Fisica giaceva ancora imballato
e inutilizzato un nuovissimo generatore
elettrostatico SAMES da 300 kV massimo, 1 mA.
Era stato acquisito per effettuare un ambizioso
esperimento sulla non conservazione di parità
nel decadimento beta, che non ebbe seguito. Il
Prof. Facchini, noto fisico nucleare e vincitore
di una cattedra a Torino, suggerì di utilizzarlo
per costruire un acceleratore elettrostatico per
indurre la reazione di fusione d+t → n+α, ed
ottenere un fascio di neutroni da 14 MeV. Piero
Brovetto, GianCarlo Bonazzola, il neolaureato
Emilio e il tecnico Giorgio Venturello furono
lieti di aderire all’idea e così nacque il Gruppo
Acceleratore. I soldi non mancavano, l’energia
nucleare era molto in auge, e un generoso
contributo finanziario dell’INFN tramite il
Contratto Euratom-CNEN permise di realizzare
in tempi rapidi l’impresa. Il Gruppo progettò
e curò la realizzazione di tutti i componenti,
nelle strutture dell’Istituto o all’esterno, e in
poco più di due anni il generatore di neutroni
era pronto. Penso che oggi ci vorrebbe almeno
il doppio di persone e di tempo. Il terminale
ad alta tensione e la relativa sorgente di ioni
deuterio a radiofrequenza erano racchiusi
in una specie di ciambella dipinta di rosso e
sostenuta da tre colonne isolanti dipinte di
giallo, con un notevole impatto visivo. Una
ventina d’anni dopo, sfogliando il libro di fisica
per il Liceo Scientifico di una delle mie figlie
trovai una foto del generatore di neutroni
di Torino definito però dal disattento autore
come un Ciclotrone, probabilmente ingannato
dalla forma del terminale a ciambella. Il flusso
di neutroni non era particolarmente elevato,
al massimo 108 in tutto l’angolo solido ma la
caratteristica più innovativa era la ridottissima
sezione del fascio di deutoni sul bersaglio di
trizio, che permise di effettuare misure uniche.
Dopo aver effettuato alcune misure preliminari con la tecnica dell’attivazione, il Gruppo decise di progettare e installare un avanzato spettrometro a tempo di volo ed eseguire misure delle sezioni d’urto differenziali di diffusione elastica e anelastica di neutroni da 14 MeV da nuclei. Grazie al contratto Euratom-CNEN fu possibile acquisire i migliori rivelatori e l’elettronica relativa esistenti sul mercato. Entrai nel Gruppo in quel momento e lavorai fianco a fianco con Emilio e Giorgio per la messa a punto, non semplice, dello spettrometro.
Piero e Gian erano meno assidui, il primo in quanto anche impegnato in ricerche di Fisica della Materia, il secondo perchè responsabile del Laboratorio di Elettronica dell’INFN. Ebbi così modo di apprezzare la grande disponibilità e competenza di Emilio, capace di focalizzare subito i problemi reali che si presentano quotidianamente in un esperimento e di suggerire le soluzioni più semplici ed immediate da adottare, senza perdere tempo in elucubrazioni magari dotte ma inutili. Era prodigo di consigli verso i giovani che desideravano imparare, e divenimmo presto ottimi amici. La messa a punto dello spettrometro richiese circa otto mesi, giusto il tempo per sostenere il mio esame di laurea e poi iniziò la prima misura su un bersaglio di Fe, pubblicata, alla quale partecipai come membro effettivo del Gruppo, in quanto avevo ottenuto una borsa di studio dell’INFN. La geometria sperimentale era quella tradizionale, con sorgente di neutroni e bersaglio fissi e rivelatore di neutroni capace di ruotare attorno al bersaglio. La limitazione era che la base di volo di appena un metro, con una risoluzione temporale di 3.5 ns fwhm, rendeva impossibile separare gli stati eccitati nucleari dal fondamentale. Iniziammo quindi a elucubrare geometrie alternative, ma dovetti assentarmi per quindici mesi per il servizio militare. In quei mesi Piero vinse la cattedra di Fisica Superiore a Cagliari e mi propose un incarico di insegnamento in quella sede, continuando però l’attività di ricerca con il Gruppo Acceleratore di Torino. Accettai volentieri rientrando nel Gruppo alla fine del 1964. Emilio e Gian avevano messo a punto una nuova geometria nella quale il rivelatore dei neutroni diffusi era fisso, ed il bersaglio nucleare era mobile, permettendo una base di volo di 4 metri. La risoluzione temporale era stata migliorata a 1.6 ns fwhm. Una prima misura effettuata su un bersaglio di 27Al fu molto significativa; le sezioni d’urto per la diffusione inelastica erano consistenti con quanto previsto dal modello a nocciolo eccitato. Le misure continuarono sistematicamente usando come bersagli 19F, 31P, 32S, 35Cl, 37Cl . Il lunedì mattina ci trovavamo tutti per decidere il programma della settimana, incluso il week-end. Il briefing avrebbe potuto durare una decina di minuti, e non un paio d’ore come succedeva quasi sempre: bisognava infatti commentare i risultati delle partite di calcio della domenica. Emilio era un tifoso sfegatato del Torino, il più acceso di tutto l’Istituto; nel suo studio campeggiavano foto e gagliardetti della squadra. Gian e Giorgio tifavano pure Toro, ma con più moderazione. Io ero un tifoso dell’Inter, sfegatato quasi quanto Emilio. In realtà a parte i casi degli scontri diretti, eravamo tutti uniti nell’avversione per la Juventus, detestata per i continui favoritismi arbitrali. Accompagnavo spesso Emilio a vedere partite e, a parte Torino- Inter, ero divenuto anch’io un simpatizzante del Toro. Al di fuori dal lavoro ci trovavamo non solo per assistere a partite di calcio, ma anche per gite in sci o in montagna (il top per noi fu il Monte Rosa).
L’attività di ricerca era soddisfacente fra le misure con i neutroni da 14 MeV e R&D in tecniche strumentali (ad es. la spettrometria Mössbauer), ma era chiaro che nel futuro avremmo dovuto trovare uno sbocco in altri Laboratori di Fisica Nucleare. Ero il più giovane del Gruppo, ancora libero da impegni sentimentali, e quindi feci domanda per una borsa di studio al CERN. Ottenutala, decisi di entrare in uno dei pochi Gruppi sperimentali del CERN che si occupasse di Fisica del Nucleo, alla fine del 1966. Esso studiava l’assorbimento di pioni positivi da nuclei con emissione di due protoni correlati al Sincrociclotrone (SC), contava 5 fra ricercatori e tecnici ed era diretto da un francese, un certo (per me allora sconosciuto) Charpak. Fui accolto molto bene e con grande piacere scoprii che, oltre alla Fisica del Nucleo, il Gruppo svolgeva un’eccellente attività di R&D nel campo dei rivelatori. Ebbi la ventura di fare parte del Gruppo di Charpak fino agli inizi del 1969, in cui ritornai a Torino con un incarico di insegnamento all’Università. In quel periodo fu realizzata la prima MWPC e la Camera a Drift storica e non aggiungo altro. L’esperimento sull’assorbimento di pioni si concluse nel 1968, e il Gruppo propose subito un esperimento al SC per lo studio sistematico e preciso della reazione di cattura radiativa π–+p → n+ γ fra 110 e 270 MeV, fino ad allora mai eseguito a causa della bassa sezione d’urto e di interesse in quanto il paragone con la reazione inversa di fotoproduzione costituiva un test importante per la struttura di isospin e l’invarianza di T nelle interazioni elettromagnetiche tra adroni. Seguendo la politica di apertura del CERN alle Università fu stabilita la Collaborazione CERN-Losanna- Monaco-Torino nella quale entrò subito Emilio.
Compito di Torino fu quello di produrre il rivelatore di fotoni, un insieme di 49 elementi di vetri al Pb (matrice 7x7) al quale Emilio si dedicò con grande entusiasmo ed inventiva e che operò in modo impeccabile durante tutto l’esperimento. Al rientro a Torino mi ero portato dietro due MWPC regalatemi da Charpak, e con Emilio e Gian mettemmo su un piccolo laboratorio per iniziare un’attività di R&D su questo nuovo tipo di rivelatore. In particolare fu progettato e realizzato un sistema di lettura con una rete resistiva che permetteva di ridurre il numero di canali di lettura. Esso fu utilizzato per l’esperimento IPER che verrà trattato in seguito. Il glorioso Acceleratore funzionava ancora egregiamente e per prolungare un po’ la produzione scientifica venne escogitata un configurazione sperimentale innovativa del complesso bersaglio-rivelatore che permetteva di misurare le sezioni d’urto differenziali per la diffusione elastica ed anelastica di neutroni di 14 MeV da nuclei fino a 180°. Non esisteva in letteratura nessun dato ad angoli superiori di 150° e la diffusione ad angoli indietro è particolarmente sensibile al potenziale di spin-orbita del modello ottico utilizzato per descrivere il fenomeno. Furono studiati i nuclei 12C, 16O e 28Si e i risultati ottenuti furono molto significativi.
L’esperimento CERN-Losanna-Monaco- Torino si concluse con successo e non venne evidenziata alcuna violazione apprezzabile di T. Ad esso fece seguito immediatamente un esperimento dedicato alla misura di precisione delle reazione di scambio carica π–+p → n+π0 utilizzando in parte i rivelatori dell’esperimento precedente. La precisione si riferiva non all’errore statistico, ma a quello sistematico, legato al fatto che in tutte le misure precedenti l’efficienza dei rivelatori di neutroni era stata valutata con i codici di Monte Carlo e non misurata. Nel nostro caso venne misurata in tutto l’intervallo di energia con un esperimento dedicato più difficile e lungo di quello principale. Alla misura partecipò anche Giorgio, che nel frattempo si era laureato in Fisica. I risultati ottenuti furono eccellenti e costituirono la base per tutti i precisi calcoli teorici relativi all’interazione πN.
Consideravamo la situazione del Gruppo molto favorevole, nonostante il Sessantotto si facesse sentire sempre di più, in particolare nei rapporti con il personale INFN. Tra assemblee, manifestazioni di solidarietà, collettivi di lavoro cui i tecnici partecipavano compatti più per convenienza e quieto vivere che per convinzione, il loro impegno lasciava molto a desiderare. Fortunatamente la nostra variegata attività scientifica attirava molti laureandi che compensavano il disimpegno dei tecnici INFN. Un incontro con Rubbia ci fece cambiare idea. Era venuto a Torino per fare delle lezioni alla Scuola di Specializzazione e ci disse con la sua proverbiale franchezza che non era il caso che continuassimo ad occuparci di stupidaggini. Se proprio volevamo fare esperimenti in Fisica Nucleare, tanto valeva che ci impegnassimo in qualche cosa di intelligente e significativo. Aveva in mente un esperimento per produrre e studiare ipernuclei mediante la reazione (K–, π–) su bersagli nucleari mediante uno spettrometro magnetico non focheggiante basato su un grosso magnete ad H esistente al CERN. Emilio ed io fummo convinti e in breve elaborammo una proposta di esperimento da sottoporre al Comitato Scientifico del PS del CERN per l’auspicata approvazione, avvenuta nel 1970. Contemporaneamente era necessario costituire un Gruppo più numeroso ed ottenere il finanziamento necessario dall’INFN. Il nocciolo storico (Emilio, Gian e io) era aumentato per l’assunzione di due eccellenti giovani, Alfredo Musso e Beppe Dellacasa. Si aggiunsero due colleghe, Sissi Rinaudo e Rosanna Cester che volevano convertirsi agli esperimenti con tecniche elettroniche e due giovani stranieri (Anthony Fainberg, PhD americano con un contratto temporaneo dell’INFN e Nasser Mirfakhrai, borsista iraniano).
Riuscimmo a realizzare tutto l’apparato per gli inizi del 1972 con enorme fatica. Rubbia si era presto defilato e quindi non avevamo coperture di tecnici e strumentazione da parte del CERN, come quasi tutti gli altri esperimenti. I tecnici dell’INFN erano sempre agitati e non attendibili per soddisfare le stringenti tempistiche richieste dal Laboratorio; per fortuna c’erano parecchi studenti laureandi. Nell’estate iniziarono i primi turni macchina, molto gravosi. Il primo bersaglio studiato fu il 12C e si osservò che l’Ipernucleo 12ΛC era prodotto soprattutto in uno stato eccitato a 10 MeV; la risoluzione sperimentale era di 6 MeV. Incoraggiati da questo primo risultato positivo vennero usati in un lungo run successivo due bersagli di 16O e 27Al, identificando per la prima volta i corrispondenti ipernuclei. Da sottolineare che, nonostante la scarsa risoluzione e la bassa statistica, l’energia di legame per lo stato fondamentale di 16ΛO è esattamente quella misurata dal più recente esperimento di precisione. A questo secondo run prese parte anche un nuovo validissimo giovane collaboratore, Mauro Gallio.
Lo spettrometro IPER fu il primo ad essere stato progettato e realizzato esclusivamente per lo studio di ipernuclei; mediante esso furono identificati per la prima volta 16ΛO e 27 ΛAl.
Il Gruppo IPER era molto giovane, l’età media era di trent’anni circa e nessuno aveva una posizione apicale.
Forte della credibilità scientifica e realizzativa guadagnata al CERN, il Gruppo di Torino si fece promotore di una nuova iniziativa di rilievo al SC: una complessa infrastruttura sperimentale (Facility) nella quale i componenti maggiori (magnete, insiemi di rivelatori di localizzazione e relativa elettronica e sistema di acquisizione) potessero essere assemblati in modo tale da soddisfare le richieste di diversi tipi di esperimenti. Il complesso venne battezzato OMICRON ed era uno spettrometro magnetico non focheggiante ispirato ad IPER, di dimensioni molto maggiori. La Collaborazione OMICRON comprendeva Gruppi di ricerca italiani (Torino, poi Cagliari), inglesi (Birmingham, Oxford), olandesi (Amsterdam, Delft), sloveni (Lubiana), francesi (Strasburgo) e del CERN. Nella divisione dei compiti il Gruppo di Torino, il più numeroso (7 ricercatori più laureandi) aveva la responsabilità della progettazione e costruzione di tutte le MWPC e Camere a Drift necessarie e della gestione scientifica, inclusa l’analisi dei dati, degli esperimenti di Fisica Nucleare. La Facility OMICRON venne approvata dal Comitato scientifico nel 1976 e proprio alla fine di quell’anno risultai vincitore di un concorso a cattedre di Fisica. Fui chiamato a Cagliari con la prospettiva di formare un nuovo Gruppo di Fisica Nucleare e possibilmente una Sezione INFN ma rimasi sempre associato alla Sezione INFN di Torino per continuare gli esperimenti con Emilio e collaboratori. La prima misura effettuata da OMICRON nel 1979 riguardò la diffusione elastica di π+– da deuterio ad angoli indietro (150°-180°) per π+– a varie energie attorno alla risonanza (3,3), seguita da una analoga su nuclei di 16O.
La risoluzione energetica fu di 2.5 MeV e i risultati ottenuti, in pieno accordo con quelli del SIN nella zona angolare complementare, permisero di verificare selettivamente i diversi modelli microscopici sviluppati per descrivere l’interazione pione-nucleo. I diversi modelli divergevano significativamente solo ad angoli indietro. Come osservò Emilio, eravamo divenuti gli specialisti mondiali degli angoli indietro: dopo i neutroni, anche i pioni! Seguì un esperimento molto ambizioso, che si proponeva di determinare il B.R. del decadimento π0→ e+e–. Purtroppo, nonostante i lunghi runs e tutti gli accorgimenti che ci vennero in mente, il fondo strumentale, alto ben più del previsto, permise di ottenere soltanto un limite superiore. Nel 1980 il SC del CERN, in analogia con altri Laboratori, produsse fasci di 3He da 303 MeV/nucleone e 12C da 86 MeV/nucleone. La produzione di π in collisioni nucleo-nucleo era allora considerata uno degli esperimenti più promettenti, in quanto poteva evidenziare il ruolo di effetti coerenti. I Gruppi di Cagliari e Torino, in collaborazione con ricercatori di Strasburgo, proposero e realizzarono un semplice apparato di soli contatori per misurare, con eccellente sensibilità, le sezioni d’urto di produzione di π– da un bersaglio 6Li bombardato da ioni 3He. Come spettrometro delle energie dei pioni fu utilizzata una linea di trasporto dei fasci di pioni del SC, opportunamente regolata.
Fu possibile misurare la produzione dei pioni in tutto l’intervallo di energie, con una variazione di 7 ordini di grandezza fino al limite cinematico. In corrispondenza ad esso venne notato un addensamento statisticamente significativo di eventi, attribuibile alla reazione a due corpi di fusione pionica (o di doppia coerenza) mai osservata prima a tali energie. Stimolati da questa osservazione realizzammo una nuova configurazione di OMICRON come spettrometro di buona risoluzione energetica e grande accettanza in momento. In una prima campagna di misure sistematiche effettuata con il fascio di 12C su vari bersagli fu studiata e interpretata la grande variazione della produzione dei π+– in funzione della loro quantità di moto, più di quattro ordini di grandezza. In seguito, con il fascio di 3He su bersagli di 6,7Li vennero osservati picchi negli spettri di π– al limite cinematico corrispondenti a stati discreti di 9,10C. Fu la conferma della reazione di fusione pionica, che avveniva preferenzialmente a stati eccitati di particellalacuna, analoghi isobarici degli stati collettivi particella-lacuna di risonanza gigante nei nuclei 9,10Be.
Nel 1982 entrò in funzione al CERN la nuova macchina LEAR con i suoi eccellenti fasci di antiprotoni, che attirò buona parte dei ricercatori attivi al SC con i fasci di pioni, non più competitivi. Il nostro Gruppo fu uno degli ultimi a trasferirsi, in quanto ancora impegnato nelle ultime misure con i fasci di ioni. Da ultimi arrivati non potevamo aspirare ad effettuare gli esperimenti più ambiziosi di prima generazione. Ci accontentammo di una ricerca strumentale per lo studio di un nuovo tipo di rivelatore per antineutroni, e nel 1983 fu effettuato uno studio su un primo prototipo, in modo parassitico. Esso era costituito da dieci moduli uguali consistenti in un convertitore di Fe, un piano di scintillatori ed uno di tubi di Iarocci. Emilio era molto fiero dell’iniziativa, che gli ricordava la gioventù: aveva iniziato con i neutroni ed ora si cimentava con gli antineutroni. Il rivelatore funzionò in maniera eccellente, superiore alle aspettative. Nel 1984, completata la mia missione a Cagliari, fui richiamato come cattedra dall’Università di Torino e come Gruppo fummo quasi obbligati moralmente a partecipare ad un esperimento di seconda generazione a LEAR (Collaborazione Cagliari-Ginevra-Saclay-Torino-Trieste), iniziato nel 1989 il cui scopo era uno studio completo della reazione p–p → nn– su bersaglio polarizzato con misura non solo delle distribuzioni angolari ma anche delle polarizzazioni delle particelle neutre uscenti. L’apparato consisteva in quattro grandi blocchi di rivelatori. Quelli per antineutroni erano repliche in grande, vari m2 di superficie, del prototipo originario.
I risultati a tutt’oggi sono i più completi e precisi nel settore, base imprescindibile per qualsiasi analisi teorica voglia essere eseguita.
Fu l’ultimo esperimento al quale partecipai con Emilio, dopo trent’anni di eccellente collaborazione scientifica. Il motivo era che avevo costituito un nuovo gruppo di giovani, con obiettivi di ricerca diversi. Continuò inalterata la fraterna amicizia personale, con diversi incontri e gite in montagna. Ne ricordo una in particolare organizzata da Emilio con Alberta, Andrea ed un esperto suo amico per soddisfare un mio desiderio speleologico, la visita alla parte semplice del grande complesso ipogeo di Piaggia Bella, nel massiccio del Marguareis. Emilio mi mancherà molto.
Tullio Bressani
Dipartimento di Fisica e INFN, Sezione di Torino
Parte II. Dalle energie intermedie alle altissime energie.
Dal 1985 al 1995 Emilio ha indirizzato la sua
attività allo studio della produzione di mesoni
π0 e η in reazioni indotte da protoni su protoni
e nuclei.
La grande esperienza di Emilio nella costruzione dei rivelatori ha contribuito a far sì che il suo Gruppo di ricerca costruisse uno spettrometro per π0 e η ad alta risoluzione energetica (spettrometro PINOT), installato nel laboratorio Saturne di Saclay.
Lo spettrometro PINOT era costituito da due rivelatori identici, ciascuno dei quali in grado di misurare contemporaneamente l’energia e la direzione di ciascuno dei due raggi gamma emessi nel decadimento elettromagnetico
del π0 e dell’η. Con tale spettrometro è stata realizzata una serie di misure su processi di produzione di π0 e η scarsamente o per nulla investigati fino ad allora.
La prima parte del programma sperimentale, realizzata dal 1985 al 1990, è consistita nello studio della produzione inclusiva (p, η) su nuclei al di sotto della soglia della reazione elementare p+N → p+N+η (Tp=1.25 GeV) (esperimento LNS125).
Il confronto fra i dati di produzione inclusiva di η su nuclei e le predizioni teoriche ha evidenziato la necessità di una buona conoscenza della sezione d’urto elementare N+N → N+N+η vicino alla soglia.
Per questo motivo a partire dal 1991 è stato intrapreso un nuovo programma sperimentale volto essenzialmente allo studio della reazione elementare p+p → p+p+η (da soglia fino a Tp=2 GeV) e allo studio della produzione di η di su bersaglio di deuterio (a Tp=1.3, 1.4 e 1.5 GeV). Nello stesso periodo è stata studiata la produzione inclusiva di η su nuclei a energie incidenti comprese tra 0.8 e 1.5 GeV (esperimento LNS237).
Per quanto riguarda la reazione elementare p+N → p+N+η non esistevano misure della reazione p+p → p+p+η al di sotto di Tp=2 GeV prima che il Gruppo di ricerca di Emilio cominciasse il programma sperimentale, mentre una sola misura della sezione d’urto totale della reazione p+n → d+η esisteva vicino a soglia.
Lo studio effettuato con lo spettrometro PINOT costituisce un quadro abbastanza completo di misure di produzione di mesoni η vicino alla soglia in interazioni p-p e p-Nucleo.
A partire dal 1990 l’interesse scientifico di Emilio si è rivolto allo studio delle collisioni Nucleo-Nucleo ad altissima energia con il proposito di studiare la formazione di uno stato della materia in cui quark e gluoni non sono più confinati negli adroni, ovvero di un Quark Gluon Plasma (QGP).
In quest’ambito Emilio ha collaborato all’esperimento NA50 che ha studiato l’interazione di ioni ultrarelativistici al SPS del CERN con nuclei pesanti. Lo scopo dell’esperimento NA50 era lo studio, in funzione della centralità, della produzione della J/ψ e ψ’ negli urti Pb-Pb a 158 GeV/c per nucleone.
Questo effetto è ipotizzato come uno dei segnali più chiari di formazione di QGP, poiché calcoli teorici prevedono che nella materia deconfinata la produzione di J/ψ e ψ’ venga soppressa a causa della schermatura del campo di colore da parte dei quarks e gluoni deconfinati che impedisce ai quark c e c– di legarsi.
I risultati di NA50 sono stati tra quelli che hanno condotto il CERN ad annunciare l’avvenuta transizione di fase della materia nucleare.
L’attività del Gruppo di Emilio è consistita nella costruzione del calorimetro adronico posto a zero gradi rispetto al fascio incidente (Zero Degree Calorimeter: ZDC). Si tratta di un calorimetro di nuova concezione composto da fibre ottiche in quarzo disposte fra lastre di tantalio e rivela la luce prodotta per effetto Cherenkov nelle fibre dalle particelle dello sciame adronico generato nel tantalio. Lo scopo di questo rivelatore consisteva nella rivelazione dei nucleoni del nucleo proiettile che non hanno interagito (i cosiddetti spettatori): il numero degli spettatori è direttamente legato alla centralità della collisione.
L’uso delle fibre di quarzo offre due vantaggi essenziali per questa applicazione: alta velocità di conteggio e ottima resistenza alle radiazioni (nell’ordine dei Grad), indispensabili per lavorare col fascio di 107 ioni/s utilizzato per NA50: lo ZDC infatti era collocato sull’asse del fascio incidente (a 160 cm dal bersaglio centrale) e costituiva quindi la prima parte del “beam dump”. Le dimensioni della componente dello sciame adronico che genera luce Cherenkov sono assai contenute (σ ≈ 7 mm), permettendo la costruzione di rivelatori molto compatti e molto veloci. La segmentazione trasversale del calorimetro inoltre permetteva di individuare il punto di impatto degli ioni sullo ZDC, permettendo di monitorare continuamente le condizioni del fascio incidente.
L’analisi dei dati raccolti negli anni 1995- 1998 ha messo in evidenza in urti centrali una soppressione anomala della J/ψ rispetto a quella ottenuta nelle interazioni degli ioni S su bersagli di S e U.
È da sottolineare che uno dei punti di forza dell’esperimento è di disporre di un insieme completo di dati di produzione di J/ψ in urti p-p, p-d, p-Nucleo e Nucleo-Nucleo (raccolti in precedenza negli esperimenti NA38 e NA51 con un apparato strumentale molto simile) che costituiscono un prezioso riferimento in condizioni di materia nucleare non deconfinata.
Nell’ambito della stessa linea di ricerca di NA50 Emilio ha partecipato all’esperimento ALICE, che studia le collisioni Pb-Pb a 2.7 TeV/ nucleone all’LHC (Large Hadron Collider) del CERN a partire dal 2008.
Come Presidente della III Commissione Scientifica Nazionale dell’INFN Emilio si è impegnato a sostenere e incoraggiare tale linea di ricerca invitando numerosi gruppi di ricerca italiani a partecipare all’esperimento ALICE.
L’apparato sperimentale di ALICE è suddiviso in un rivelatore centrale e in uno spettrometro per muoni. Il rivelatore centrale è costituito da numerosi sotto-rivelatori con compiti specifici come l’identificazione delle particelle, la ricostruzione del loro percorso, la misura della loro energia. Lo spettrometro per muoni è deputato allo studio specifico dei decadimenti in muoni degli stati di quarkonia come la J/ψ e la Upsilon. L’esperimento ALICE è complementare rispetto agli altri esperimenti di LHC essendo caratterizzato da una maggior capacità di identificazione di particelle, da un miglior tracciamento in eventi ad alta molteplicità e da una migliore ricostruzione delle tracce a basso impulso.
Sfruttando l’esperienza acquisita nell’esperimento NA50, Emilio e il suo Gruppo hanno costruito i calorimetri a zero gradi (ZDC) che servono per determinare la centralità delle collisioni e le camere RPC (Resistive Plate Chambers) dello spettrometro dimuonico, che sono usate per identificare a livello di trigger la coppia dei muoni. Gli ZDC forniscono non solo informazioni sul modulo del parametro d’impatto, ma anche sulla sua direzione. Infatti i calorimetri per neutroni, essendo sensibili alla posizione d’impatto delle particelle, sono usati nelle analisi di “flow” per stimare il piano di reazione degli urti Pb-Pb. Inoltre gli ZDC operano come luminometro dell’esperimento ALICE durante la presa dati in collisioni Pb-Pb.
Oltre alle citate misure Pb-Pb l’esperimento ALICE ha condotto misure in reazioni p-Pb con l’aspettativa di poter discernere gli effetti derivanti dalla struttura dello stato iniziale della collisione –spesso soprannominati effetti di “materia nucleare fredda”– dagli effetti dello stato finale relativi al mezzo creato, presumibilmente, solo nelle collisioni di Pb-Pb. Le prime misure hanno fornito risultati sorprendenti: le sorprese derivano dalla somiglianza di diverse osservabili tra le collisioni di p-Pb e Pb-Pb, che suggeriscono l’esistenza di fenomeni collettivi nelle collisioni di p-Pb con elevata molteplicità di particelle.
Emilio metteva grande entusiasmo nel lavoro ed aveva una grande capacità di collaborare con i suoi colleghi italiani e stranieri per i quali è sempre stato un punto di riferimento. Il suo carattere gioviale e la sua umanità gli hanno permesso di “tirare su” un gruppo numeroso di giovani ricercatori, che ricorderanno per sempre il maestro e l’amico.
Mauro Gallio
Dipartimento di Fisica e INFN, Sezione di Torino