Alberto Benvenuti (1940-2018)

Alberto Benvenuti

Il 15 aprile a Minneapolis ci ha lasciati Alberto Benvenuti, professore aggiunto all’University of Minnesota e membro della Collaborazione CMS fino dalla sua fondazione. In quiescenza da diversi anni come Dirigente di Ricerca dell’INFN, non aveva rallentato per questo la sua attività, prima restando nell’esperimento al CERN come associato all’INFN e poi, negli ultimi tre anni, in modo più remoto ritornando nel Mid-West. A Minneapolis prese il PhD nel 1969 e nello stesso anno si sposò con Rita, originaria di quel luogo.

Alberto era nato a Firenze il 10 ottobre 1940 e lì si era laureato nel 1964. Dopo la tesi in Fisica Nucleare, vinse una borsa di studio per la Graduate School dell’University of Minnesota dove arrivò nel settembre 1965 con un viaggio per mare degno di un vero emigrante. La tesi di PhD è lo studio di interazioni di pioni nella camera a bolle da 72” riempita con deuterio. Nello stesso periodo svolge ricerche con raggi cosmici ad Echo Lake Colorado con tecniche di contatori. Dopo il conseguimento del PhD Alberto si è spostato come Postdoc all’University of Wisconsin a Madison, dove resterà fino al 1977. Per un po’ ha continuato a lavorare in camera a bolle con fasci di antiprotoni insieme a Dave Cline e Don Reeder a Brookhaven e con fasci di protoni insieme a Ugo Camerini e William Fry al Fermilab. All’inizio degli anni '70 entra in funzione il fascio di ν di alta energia al Fermilab ed è il momento magico della collaborazione Harvard-Pennsylvania-Wisconsin, di cui Alberto fa parte insieme a Carlo Rubbia, Dave Cline, Don Reeder e altri (e quasi sempre è il primo firmatario degli articoli). Al CERN a Gargamelle si accumula l’evidenza per le correnti neutre: queste sono puntualmente e immediatamente confermate da HPW. L’esperimento HPW vede per primo un’evidenza indiretta del nuovo quark previsto dal meccanismo GIM (e scoperto solo successivamente) attraverso l’osservazione di eventi di ν con due μ di segno opposto nello stato finale. HPW accumula anche evidenza per una anomalia nella distribuzione in γ degli antineutrini, riconducibile alla possibile produzione di un ulteriore quark pesante. C’è una situazione sperimentale in ebollizione, con discussioni accese su tutti i minimi particolari sperimentali dei singoli apparati. Viste le implicazioni, la posta in gioco è grossa e molti dei membri importanti delle collaborazioni si lasciano andare a considerazioni talvolta anche troppo ottimistiche. Alberto, come continuerà a fare per il resto della sua vita, lavora attaccato all’esperimento giorno dopo giorno, soffrendo per gli inevitabili problemi e le inevitabilli debolezze di un apparato sperimentale o le limitazioni di un’analisi, ma cercando sempre di porvi rimedio al meglio in modo pragmatico, impegnandosi giorno e notte. Una dote che non tutti hanno. Forse per questa sua profonda onestà professionale Alberto fu scelto dalla collaborazione per presentare i risultati più controversi alla importante Conferenza sul neutrino di Aachen nel giugno del 1976 (“New Features of Neutrino Physics as Observed in Fermilab Exp. 1A”). A quella conferenza fu presentata da Vera Luth la prima evidenza per open charm. Vi fu inoltre presentata la proposta di Carlo Rubbia, Dave Cline e Peter McIntire di trasformare l’SPS del CERN in un collisionatore protone-antiprotone. L’ottima presentazione di Alberto fu probabilmente il biglietto da visita per il rientro in Europa ed in Italia l’anno successivo.

In Italia fu invitato a Bologna nel 1977 da Luigi Monari mentre aveva già avuto un’offerta come CERN Staff, posizione che avrebbe poi ricoperto dal 1978 al 1981. Il gruppo di Bologna doveva collaborare con Carlo Rubbia in un esperimento sul deep inelastic scattering di muoni all’SPS. L’esperimento NA4, collaborazione Bologna-CERN-Dubna-Munich- Saclay, era basato su una serie di idee semplici e geniali che si scontravano spesso con una serie di particolari fastidiosi. A cominciare dal fascio di μ di alta intensità che si tirava dietro un alone considerevole per cui il primo compito del gruppo di Bologna fu quello di realizzare un “halo wall”. Il problema più grosso, alla soluzione del quale Alberto ha contribuito con testardaggine, fu che c’era una discrepanza con altri dati di DIS con ν e con μ. Le scuole di pensiero erano due: che si dovessero trovare le correzioni giuste per essere in accordo con gli altri esperimenti, oppure che si dovesse correggere quello che c’era da correggere senza preoccuparsi del resto del mondo. Alberto è sempre stato coerentemente per la seconda soluzione e gli scontri con i partigiani della prima erano epocali e continui. In retrospettiva Alberto ha avuto ragione e i dati sulle funzioni di struttura di BCDMS contribuiscono tuttora in modo importante ai fit globali delle pdf usate anche a LHC. Durante il periodo di NA4 Alberto utilizzava quasi sempre una Panda di prima generazione, che spartana era dir poco, una classe di auto non particolarmente comune fra gli staff del CERN, involontariamente emulo di Gianni Agnelli che andava a Mirafiori in 500. Alla fine del periodo di staff Alberto è ritornato a Bologna come ricercatore INFN, continuando a lavorare in NA4 fino al 1985.

La scoperta della Z0 e del W nel 1983 apre la strada alla possibilità di usare collisionatori e+e– di energia appropriata per studiare la fisica elettrodebole. A SLAC si sfrutta l’acceleratore lineare per far collidere i fasci con una singola curvatura. Al CERN LEP è già in costruzione. Alberto con colleghi italiani di varie sezioni INFN, fra cui Roberto Battiston, Rino Castaldi, Ida Peruzzi, Marcello Piccolo e Livio Piemontese, parte per la California nel 1985 per lavorare su SLD. Vi resterà fino al 1991. A SLAC lavora al progetto e alla costruzione del calorimetro adronico e identificatore di muoni che utilizza tubi a streamer limitato inseriti nel ferro del ritorno del campo magnetico.

Nel 1991 Alberto ritorna in Europa ed entra nella collaborazione DELPHI a LEP con il gruppo di Bologna. Si impegna su due fronti che hanno alcune caratteristiche in comune. Da una parte c’è lo studio e la realizzazione di contatori per migliorare l’ermeticità del rivelatore: si tratta di uno strato di piombo seguito da scintillatore letto con fibre WLS. Considerata la geometria, ogni fotoelettrone è importante ed Alberto lavora in modo maniacale per ottimizzare la raccolta di luce diventando un vero esperto. C’è un gruppo di collaboratori che partecipano al progetto, però Alberto è quello che ha sotto controllo tutti i particolari. L’altro progetto su cui lavora è un nuovo calorimetro elettromagnetico in avanti con piani di posizione di silicio da usare anche come luminometro a LEP2. Il project leader è Tiziano Camporesi che si ritrova in una strana posizione nei confronti del suo relatore di tesi, ma su Alberto può contare senza problemi. Oltre all’hardware di DELPHI Alberto si interessa all’analisi (a quell’epoca si può ancora lavorare col Fortran) e propone l’uso di reti neurali per ottimizzare l’efficienza. Per diversi anni Alberto fa anche parte del DELPHI Executive Committee.

Nel 1992, in parallelo all’attività a LEP, si interessa all’esperimento CMS per il futuro LHC. Il gruppo di Bologna si impegna sui rivelatori Drift Tubes di μ nel barrel. Alberto segue a Bologna la costruzione della macchina per produrre i catodi che separano le celle di drift. La macchina è trasportata a Protvino dove sono prodotti i circa 200000 catodi sotto la diretta supervisione di Alberto, per niente preoccupato dell’inverno russo. Successivamente, quando le camere cominciano ad essere prodotte nei vari laboratori, Alberto organizza al CERN –praticamente da solo– uno spazio dedicato per poterle preparare in vista dell’inserimento nel ferro del ritorno del flusso del campo magnetico. Ad una riunione dei DT a Bologna nel 2003 fa una presentazione dal titolo emblematico: “From Bare Chambers to Installable Chambers”. Agli inizi del 2007 i pezzi di CMS assemblati in superficie cominciano la loro discesa nella caverna. Alberto ha passato parecchi anni nell’assembly hall a P5: inserimento delle camere, commissioning delle singole camere e dei settori del rivelatore ... lo hanno visto sempre presente. La sua attività continua in caverna negli anni successivi. I contributi a CMS non si fermano ai DT, la sua presenza sul campo fa scuola anche fra i gruppi impegnati negli altri rivelatori di muoni e non solo, partecipa attivamente al gruppo di Technical Coordination, è il main reviewer di altri progetti quali ECAL.

Lungo la sua carriera, sia per quanto riguarda l’hardware che per l’analisi, faceva funzionare gli esperimenti, spesso con miglioramenti unici ed innovativi, assolutamente necessari per il successo. Non è mai stato un principal investigator, ma un PI poteva contare su di lui per adattare un’ampia visione alla realtà sperimentale. Era instancabile e sempre disponibile nel mantenere un esperimento funzionante e sulla buona strada. Sebbene forse non sempre visibile dal di fuori, nessuno dei suoi collaboratori poteva evitare di apprezzare i suoi molteplici contributi al successo comune. Col suo impegno personale ha contribuito a formare numerosi giovani durante tutta la sua carriera. Nonostante l’impegno continuo sul lavoro Alberto ha sempre seguito da vicino e con grande passione i fatti del giorno, qualcuno si chiedeva come riuscisse a trovare il tempo per farlo. Aveva un carattere non sempre facile, per molti conquistarne l’amicizia è stato un obiettivo ed un motivo di orgoglio una volta riuscitici. La sua perdita è un colpo per tutti i suoi collaboratori e per la Fisica in generale.


Graziano Bruni, Francesco-Luigi Navarria
Sezione INFN e Dipartimento di Fisica e Astronomia, Università di Bologna