I Premi Nobel Italiani

I Premi Nobel Italiani

Vol. I (1906-1959), Vol. II (1963-2007)
Coordinamento scientifico di Angelo Varni

La pubblicazione di due bellissimi volumi da parte del Segretariato Europeo per le Pubblicazioni Scientifiche (SEPS) dedicati ai premi Nobel e medaglie Field conseguiti da italiani offre l’occasione per segnalare anzitutto la straordinaria attività culturale del SEPS. L’istituzione venne fondata con grande lungimiranza da Fabio Roversi-Monaco e Giuseppe La Loggia nel 1988, anno in cui si celebrò il IX centenario dell’Università di Bologna, e lì si firmò la Magna Charta Universitatum, punto di partenza del processo di Bologna. Come spiega Roversi-Monaco nella presentazione dei due volumi “obiettivo del SEPS è la diffusione della cultura attraverso un sostegno economico alle traduzioni di opere scientifiche e di saggistica di elevata qualità, per le quali riceve e valuta richieste provenienti da editori di tutto il mondo. Il SEPS è dotato di status consultivo presso il Consiglio di Europa ed ha contribuito alla pubblicazione di quasi 900 opere, collaborando con oltre 400 editori, ed è in contatto con oltre 6000 editori e istituzioni culturali internazionali”.

Angelo Varni, coordinatore scientifico, e il comitato di ricerca costituito da Andrea Battistini, Gilberto Poggioli ed Ettore Verondini con il coordinamento operativo di Federico Condello, hanno affidato a 24 illustri colleghi il compito di illustrare le personalità e i grandi contributi culturali nelle diverse discipline dei nostri 20 Premi Nobel italiani e dell’unica medaglia Field finora ottenuta da un italiano (Enrico Bombieri, 1974). L’immenso prestigio riconosciuto a questi premi, oltre a suscitare nella società interesse per i valori e i grandi benefici della cultura e del progresso scientifico, comporta inevitabilmente, nel caso dell’ambito scientifico, utili discussioni sulla politica della ricerca, delle sue conseguenze e prospettive. Altrettanto interessanti sul piano culturale, politico e sociologico sono state le discussioni e polemiche riguardanti i premi letterari.

È perfettamente riuscito l’intento del coordinatore di ottenere dagli autori capitoli ove sono illustrati per ciascun premiato, in ordine cronologico, le motivazioni delle scelte fatte dall’Accademia Svedese, il contenuto e il significato delle conferenze tenute dai premiati, il tutto arricchito da un’accurata analisi della documentazione esistente, del contesto culturale, nazionale e geopolitico in cui sono maturate le candidature nonchè dell’impatto mediatico successivo. Gli autori esaminano anche l’effetto che il riconoscimento ha avuto sui premiati, sul loro successivo ruolo sociale ed eventualmente istituzionale. Tutto questo rende la lettura dei due volumi estremamente interessante e stimolante.

La ricerca scientifica, sia essa nel campo fisico, chimico, medico o economico, è sempre piú impresa collettiva. Le candidature riguardano sempre singoli scienziati ritenuti autori di grandi scoperte che hanno aperto campi nuovi del sapere, eventualmente con grandi ricadute sulla società, effettive o attese. Difficile decidere quali siano in quel momento gli scienziati più degni: certamente molti di più delle tre parti in cui può al massimo essere diviso il premio. Una commissione di burocrati deciderebbe in base agl’indici bibliometrici, ma il consesso di illustri scienziati convocati dall’Accademia Svedese, avendo tutta la cultura ed esperienza che servono, si pronuncia prima di tutto sul significato di una ricerca, sul valore dei risultati, sul loro impatto futuro, secondo una visione e un’apertura ispirate ai principi del fondatore del premio, Alfred Nobel. Ai premiati è riconosciuto di avere contribuito in modo fondamentale a tutto questo, ed è attribuita la responsabilità di farsene ulteriori promotori secondo quella visione e apertura. Questo principio trascende le interminabili discussioni se sia stato più giusto assegnare il premio a Tizio anziché a Caio, o se sia stata commessa grave ingiustizia, e conferisce ai Nobel (intendo i premi, non i premiati) una valenza sociologica non trascurabile. Questo aspetto è ancora più rilevante per il premio Nobel della Letteratura. A pochi giorni dalla scomparsa di Dario Fo e dal riconoscimento a Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan, fa riflettere la conclusione di Claudio Longhi e Claudio Cumani del loro capitolo su Fo: “come le evoluzioni della scrittura contemporanea dimostrano ampiamente, il nuovo orizzonte dell’umanesimo del terzo millennio sta forse proprio nella performance”. Non sono sicuro che sia un nuovo orizzonte, dal momento che dai tempi piú antichi la letteratura si faceva sui palcoscenici altrettanto quanto nell’epica. Ma nell’era della riproducibilità tecnica, come immaginato negli anni '30 da Paul Valéry e Walter Benjamin, scrittura e performance si fondono e come tali sono riprodotte e godute. Questo è valso per Fo come per Bob Dylan, e ho letto con commozione (o forse nostalgia) nella stampa estera gli elogi di entrambi.

Per la scienza invece la performance è diventata, per via della riproducibilità all’infinito e dei parametri bibliometrici, un incubo, ma fortunatamente l’Accademia Svedese è rimasta fedele alla sua visione della conoscenza e dei suoi intrinseci valori. Sicuramente in tutti i riconoscimenti elargiti agli scienziati italiani riconosciamo quella visione e quei valori, essendo essi coincidenti con quelli degli stessi premiati. È pienamente riuscito l’intento di Varni affinché questa raccolta di articoli possa “testimoniare la capacità del nostro Paese di collocarsi in maniera positiva nel fertile intrecciarsi dei saperi”. Questo intreccio si è costituito grazie a grandi scuole e tanti grandi maestri quali, per citarne alcuni, Augusto Righi, Orso Mario Corbino, Enrico Fermi, Giuseppe Levi, Bruno Rossi, Beppo Occhialini, che il premio Nobel (a parte Fermi) non hanno avuto, ma sulle cui spalle poggiano saldamente diversi nostri premiati.

È però un fatto doloroso che quell’intreccio si sia sviluppato principalmente all’estero, causa prima il fascismo con le sue discriminazioni razziali e politiche. Di 13 Nobel in discipline scientifiche ben 8 hanno compiuto le loro ricerche premiate all’estero, e Fermi è comunque emigrato dopo il premio. Una conseguenza è che l’Italia ha un numero limitato di premi Nobel relativamente alla sua dimensione e posizione economica tra i paesi più sviluppati, né sembra che i governi che si sono succeduti nel dopoguerra si siano molto premurati di portare gli investimenti nella ricerca e nella cultura a livelli decenti. E questo nonostante tutti i Nobel rientrati si siano spesi per convincere i governi a fare di più. Forse i governi sono più sensibili all’opinione pubblica generale che non alla voce degli scienziati, e quindi occorre una buona divulgazione culturale e scientifica, tanto da convincere la gente, scusate, volevo dire gli elettori, che cultura e scienza rivestono fondamentale importanza in una società che aspira al benessere. Salvador Luria, citato nel bel capitolo di Daniela Barbieri, scriveva su la Repubblica a proposito di Mister O: “La decisione della televisione di Stato di mettere in onda in ore di grande ascolto un programma in dodici puntate sui presunti fenomeni paranormali è da considerarsi particolarmente grave e profondamente diseducativa ...”. Oggi abbiamo fortunatamente di meglio, ma ancora si vedono i migliori giovani che vanno via, e niente premi Nobel. Speriamo allora che questi due bellissimi volumi entrino in tutte le biblioteche scolastiche e siano fatti leggere ai ragazzi!


Giorgio Benedek
Università di Milano-Bicocca


I Premi Nobel Italiani
Vol. I (1906-1959), Vol. II (1963-2007)
Coordinamento scientifico di Angelo Varni
SEPS, Bologna, 2015
Vol. I, pp. 395; Vol. II, pp. 417
ISBN: 978-88-6923-043-1