Un mondo di mondi

Giulio Giorello, Elio Sindoni

Alla ricerca della vita intelligente nell'universo

Sul finire dell’anno della Luna, cinquantesimo anniversario del primo sbarco, ho ritrovato e riletto l’eccellente e suggestivo libro di Giulio Giorello ed Elio Sindoni sulla ricerca della vita intelligente nell’Universo. Suggestivo nel senso letterale, per via delle numerosissime citazioni e rimandi all’ampia letteratura, quasi 120 testi, da Aristotele ed Epicuro ai giorni nostri. La lettura di questo libro si trasforma in un lungo viaggio nello spazio-tempo, con molte attraenti distrazioni. Giorello e Sindoni da tempo si occupano della storia di questo affascinante viaggio alla ricerca di altri mondi abitati, o almeno abitabili. Da più di vent’anni Sindoni si chiede “Esistono gli extraterrestri?” (Il Saggiatore, 1997), “Siamo soli nell’Universo?” (Ed. San Raffaele, 2011), e ancora nel 1997 la stessa domanda assieme a Giorello, in un libro intitolato “La favola dell’Universo”, che i nostri autori hanno curato per Piemme con Padre George Coyne, astronomo gesuita e leggendario direttore per quasi trent’anni della Specola Vaticana. Padre Coyne, assieme ad Annibale Fantoli, per vent’anni professore all’università gesuita di Tokyo e qui citato per il suo “Extraterrestri – Storia di un’idea dalla Grecia a oggi” (Carocci, 2008), commentarono la “riabilitazione” di Galileo Galilei voluta da Giovanni Paolo II, ritenendola, non senza ragione, insufficiente e reticente. È un fatto che gli astronomi gesuiti hanno custodito una grande tradizione, da Matteo Ricci a Roger Boscovic e George Lemaître, e oltre. Riguardo alla posizione della Terra e dell’uomo nell’Universo, gli avanzamenti della conoscenza, in particolare le rivoluzioni di Copernico, Galilei e Newton, il modello evoluzionista degli organismi viventi e la possibilità termodinamica che lontano dall’equilibrio l’ordine (e quindi la vita) nasca dal caos, hanno gradualmente sottratto spazio (e potere!) alla speculazione filosofica e teologica, ampliando per contro quello della fiction letteraria e scientifica. Rimane a quest’ultima un vasto territorio, dal momento che l’evidenza di vita evoluta al di fuori del Sistema Solare ha scarsissima probabilità di arrivare un giorno o l’altro, essendo assolutamente insignificante la porzione di Universo racchiusa entro un raggio di pochi anni-luce.

Di tutto questo scrivono gli autori, in uno stile fluido e accattivante, premettendo a ognuno degli otto capitoli, nonché alla Premessa e alle Conclusioni un brano letterario o poetico che introduce allo spirito del testo. La Premessa si apre appunto con un paragrafo di Leopardi che dà voce a Copernico nell’omonimo dialogo del 1827 (otto anni prima che il De Revolutionibus fosse rimosso dall’Index!), e dà subito un’idea di come quelle rivoluzioni fisiche innescassero rivoluzioni del pensiero, modelli cosmologici, ipotesi e racconti metaforici sugli alieni, e anche progetti finalizzati alla loro ricerca. Il primo capitolo, come anticipa la citazione dalla Storia Vera di Luciano di Samosata (che sulla Luna ci è andato in veliero!) compie un rapido excursus su miti e idee delle antiche civiltà riguardo all’universo e agli extraterrestri. Se Anassimandro poteva sostenere che esistevano infiniti mondi senza finire sul rogo, l’eliocentrico Anassagora corse invece il rischio di lasciarci la pelle, non fosse stato per l’intervento di Pericle, mentre Aristotele, rigorosamente geocentrico e nemico degli atomi e del vuoto, piacque alla scolastica medievale. Nondimeno il Medioevo aveva in seno, come raccontano gli autori, “pericolosi alieni” che coltivavano l’idea di una pluralità dei mondi. Tra questi nientemeno che Guglielmo d’Occam, mentre il sistema eliocentrico è riportato in auge sul piano filosofico dai due Nicola, d’Oresme e Cusano, in attesa di Copernico. Il secondo capitolo è dedicato ai visionari del Rinascimento, in particolare all’Ariosto, che sulla Luna ha spedito il paladino Astolfo, e a Giordano Bruno, che riprende Cusano e pone gl’infiniti mondi su una base razionale. Ma mentre le idee astronomiche di Cusano, in tempi turbolenti per la Chiesa e per lui, passarono in secondo piano, quelle di Bruno, nonostante la loro assoluta plausibilità, gli furono fatali. E siamo ancora in attesa delle scuse!

Il terzo capitolo “Leggere il libro del cielo” si apre con un celebre passo dal canto VIII del “Paradiso Perduto” di John Milton. Molto a proposito: Milton, cha aveva conosciuto e visitato Galileo ad Arcetri, fa dire all’arcangelo, rivolto al curioso Adamo, che “non ha importanza alcuna che sia il cielo a muoversi, o la Terra... il massimo Architetto con molta saggezza decise di tenerlo nascosto all’uomo o all’angelo...”. Che il valore e il piacere della conoscenza, ancorché conquistata con il duro lavoro seguito alla cacciata, valessero più degli agi senza conoscenza del paradiso, è un interessante concetto che ha contagiato i grandi scrutatori dei cieli, dal ‘600 in poi. Mentre Keplero immaginava che pianeti e satelliti fossero stati creati a beneficio dei loro abitanti, come la Terra è a beneficio dell’uomo, Galileo, come risulta dal loro carteggio, era piuttosto cauto. Un loro giovane contemporaneo assai più spericolato, Savinien de Cyrano detto di Bergerac, pensò anch’egli come Luciano e Astolfo di andare sulla Luna a vedere. Lascio ai lettori del libro il piacere di sapere come vi sia arrivato, dopo aver fatto visita per sbaglio al vicerè del Canadà, e quali insegnamenti abbia tratto dai seleniti, in particolare quello che anche lassù coi preti non si scherza. Di più ampie e colte vedute sono gli altri due straordinari personaggi di questo affascinante capitolo, Bernard le Bovier de Fontenelle con i suoi Entretiens sur la pluralité des mondes, e il grande Christiaan Huygens con Cosmotheoros. Questi, scrivendo a suo fratello Constantijn, ipotizzava egualmente una pluralità dei mondi, precisamente pianeti intorno ad altri soli, dove vi potessero essere forme di vita intelligenti. Il primo, avvocato e scrittore, intrattenne una non identificata marchesa sull’astronomia dopo Copernico e la pluralità dei mondi, anticipando il secolo dei lumi (del quale egli, vivendo cent’anni, potè in parte godere) e l’idea del Newtonianesimo per le dame dell’Algarotti.

Del newtonianesimo e della conseguente cosmologia di Kant si occupa il quarto capitolo, ancora introdotto da Leopardi. Conseguente perché Kant, compreso il meccanismo delle orbite sotto l’azione gravitazionale, immagina la formazione del Sistema Solare come condensazione di una massa gassosa vincolata dalla gravità a ruotare intorno al suo centro. Una quarantina d’anni dopo il modello sarà ripreso indipendentemente da Laplace su basi più rigorose, affiancando il suo nome a quello di Kant nella ipotesi moderna sulla nascita del Sistema Solare. Al pari dei grandi filosofi dell’antichità, Kant intreccia filosofia e scienza in modo ineccepibile, fornendo una base ragionevole alla fiction di mondi abitati da esseri intelligenti. Come spiegano mirabilmente gli autori con la scelta di brani dalla Teoria del cielo, Kant intravvede nel modello della nebulosa una storia comune a tutte le altre stelle e quindi “un mondo di mondi”, e forse anche pianeti oltre Saturno. Ci penserà di lì a poco un altro tedesco, trapiantato in Inghilterra, Frederick William Herschel, a regalarci Urano con due satelliti, Titania e Oberon, e poi la prima descrizione tridimensionale della via Lattea! Con Herschel si apre un nuovo secolo di controversie, deliziosamente raccontate nel quinto capitolo: un mondo di mondi, d’accordo, ma abitati da esseri intelligenti o l’uomo è solo nell’universo? Herschel e Brewster contro Whewell in Inghilterra, Flammarion contro Jules Verne in Francia, ma intanto arriva Schiapparelli con i supposti canali di Marte! Durano poco: ai primi del ‘900 i dubbi di Arrhenius e le attente osservazioni di Antoniadi cancellano i marziani dalla scienza, nonostante le certezze di Percival Lowell, mentre la fiction con la grande opera di Verne prendeva strade più aderenti alla scienza. Più delle guerre dei mondi di H. G. Wells è il messaggio di Verne (andiamo a vedere cosa c’è veramente sulla Luna, così come al centro della Terra o nelle profondità marine!) che ha fornito la premessa culturale e lo stimolo scientifico alle imprese spaziali degli ultimi 50 anni.

Nel successivo capitolo gli autori spiegano come la progressiva conoscenza delle condizioni fisiche e chimiche dei pianeti nella loro evoluzione permetta di stabilire la loro idoneità a ospitare la vita, dalle forme elementari a quelle intelligenti, con la domanda: la Terra nella sua collocazione e con la sua particolare storia geofisica è il mondo (forse unico) per noi? La meravigliosa storia dell’evoluzione dell’Universo quale emerge dalla moderna cosmologia, e in seno ad esso la nascita ed evoluzione della vita dai procarioti all’Homo sapiens, sono brevemente richiamate nel capitolo 7. Sebbene l’origine della vita sia sostanzialmente compresa come processo naturale spontaneo in condizioni termodinamiche lontanissime dall’equilibrio e quindi ricchissime di informazione, quali si verificano nell’evoluzione dei sistemi planetari, nondimeno le condizioni al contorno necessarie e la loro stabilità sembrano essere assai rare. Il recente allargamento dell’orizzonte a sistemi stellari vicini e la scoperta di centinaia di esopianeti, alcuni dei quali nella fascia favorevole alla vita, hanno posto le basi per una ricerca strumentale della vita intelligente in altri sistemi planetari nelle regioni vicine della nostra galassia (capitolo 8). Sebbene estremamente rara nelle previsioni rispetto alle forme di vita elementari, la presenza di esseri intelligenti dà qualche speranza che da quei mondi lontani giungano segnali elettromagnetici intelligibili. Tuttavia, la più che ragionevole convinzione che questa costosa ricerca non darà frutti lascia molto spazio a quegli scienziati che sostengono, generalmente per motivi religiosi ma non necessariamente, l’unicità dell’Uomo nell’Universo, anzi l’idea che tutto sia stato progettato in sua funzione, a partire dalle costanti universali (principio antropico, intelligent design). Francamente non riesco a immaginare un fisico teorico che sappia calcolare da principi primi quale sarebbe (o non sarebbe) la natura se le constanti universali fossero un po’ diverse. Potrebbe anche venire meglio! Quelle idee si fondano su una visione determinista e riduzionista, ormai archiviata dalla fisica dei processi naturali non lineari, con le loro biforcazioni e le proprietà emergenti. Viene in mente quanto Galilei fa dire a Sagredo nel Dialogo: “Grandissima mi par l’inezzia di coloro che vorrebbero che Iddio avesse fatto l’universo più proporzionato alla piccola capacità del loro discorso, che all’immensa, anzi infinita, Sua potenza”.

D’altra parte mi sembra naturale che anche gli scienziati coltivino una dimensione spirituale e una visione poetica del mondo, cosi come Leopardi, Pascoli e Montale, citati negli ultimi capitoli del libro, siano stati affascinati dalla cosmologia. Gli autori presentano questi ultimi argomenti con grande equilibrio e chiarezza, nel segno di una domanda: Un Universo tutto nostro? E con ironia assegnano a Leopardi il compito di rispondere per bocca dello gnomo, che dice al folletto: “Eh, buffoncello, va via. Chi non sa che il mondo è fatto per gli gnomi?” Seguono le Conclusioni nel segno di una celebre frase di Fermi riferita da Stephen Webb: “Dove sono tutti quanti?... dovremmo essere stati visitati già molto tempo fa, e più di una volta”. Gli autori ci avvertono con questo che la conclusione del loro bellissimo libro è però provvisoria: restiamo pertanto in attesa di viaggiare nuovamente con Giulio Giorello ed Elio Sindoni a bordo della loro astronave.


Giorgio Benedek
Università di Milano-Bicocca


Giulio Giorello, Elio Sindoni
Un mondo di mondi
Alla ricerca della vita intelligente nell'universo
Scienze e Idee. Raffaello Cortina Editore,
Milano 2016
pp. 141, € 16,00
ISBN: 9788860308429