A Hospitable Universe

R. Gambini

Addressing ethical and spiritual concerns in light of recent scientific discoveries

Un libro che offre molti stimoli di riflessione è per definizione un buon libro. Rodolfo Gambini and Jorge Pullin (qui presentato come collaboratore) sono noti per il testo “A First Course in Loop Quantum Gravity”, pubblicato sette anni fa presso Oxford University Press e da qualche tempo open-access come e-book on-line. Il testo, dedicato a quella che possiamo considerare la più promettente, seppur controversa, via alla gravità quantistica, si è fatto apprezzare per la qualità didattica e la semplificazione, sì da rendersi adatto tanto a studenti undergraduate quanto a fisici senior (come lo scrivente) desiderosi di esplorare territori della fisica lontani dai propri. Per gli studenti un testo propedeutico ai classici testi di quantum gravity di Carlo Rovelli (Cambridge University Press, 2010), Thomas Thiemann (Cambridge University Press, 2007), Claus Kiefer (Clarendon, 2004), etc. Quella vena tutorial che esalta l’essenziale, nell’intento di universalizzare il discorso e raggiungere così un’audience più vasta, la ritroviamo in questo saggio, chiaramente divulgativo riguardo ai fondamenti scientifici per potere coinvolgere quanti, professando le più diverse discipline, siano interessati ai risvolti filosofici e alle implicazioni etiche della scienza moderna.

R. Gambini

Vi sono ampi territori della fisica teorica in attesa di un base sperimentale sufficiente a verificarne le ipotesi, i modelli e, ove possibile, le previsioni. È forte la tentazione di colmare questo vuoto provvisorio con la speculazione filosofica, memori di come la rivoluzione scientifica dei secoli recenti sia stata preparata da una profonda elaborazione filosofica. Più che una tentazione, direi una naturale aspirazione, stimolata da una ricca cultura, ossia dalla conoscenza analitica del passato e del presente stato della filosofia naturale. L’impresa appare oggi sempre più ardua a causa della nascita nell’ambito della filosofia naturale di molteplici discipline scientifiche e ulteriori suddivisioni di queste in varie specializzazioni. Sebbene molti grandi progressi nelle scienze siano frutto di una visione unitaria (pensiamo, per restare nell’ambito della fisica, al proficuo e continuo scambio di idee e paradigmi tra i campi delle alte energie e della materia condensata), è un fatto che sul piano formativo e della ricerca la specializzazione si impone come condizione necessaria per una carriera produttiva. Così, di fronte agl’immaginabili rischi, alcuni si dedicano alla stimolante divulgazione che allarghi alle persone colte di varia estrazione il piacere di esplorare territori di frontiera come quelli della cosmologia quantistica. L’obiettivo dei nostri autori, pur restando nell’ambito dell’alta divulgazione, è più ambizioso.

Il '900 è stato il secolo di almeno tre grandi avanzamenti della fisica che hanno portato a riformularne alcuni fondamenti: la meccanica quantistica, la teoria della relatività, e la meccanica statistica di non equilibrio. Si parla più spesso delle prime due poiché esse forniscono i fondamenti attuali della struttura della materia e della cosmologia, e rispondono a secolari quesiti, per i quali non si andava oltre la speculazione filosofica. La terza rivoluzione, identificando la lontananza dall’equilibrio con l’informazione, ha contribuito a trasferire il fenomeno della vita dall’ambito filosofico e teologico all’ambito scientifico, indicandone il fondamento nei meccanismi spontanei di auto-organizzazione, riconoscimento e selezione, e nelle nozioni di complessità e proprietà emergenti: ordine dal caos. Alle scienze della vita appartengono anche quelle sul funzionamento del cervello, e quindi i problemi connessi con le facoltà cognitive, la percezione, lo stato cosciente, etc. tutte questioni sulle quali si sono, anche duramente, confrontati diversi sistemi filosofici. Da qui l’idea che lo studio della vita, e dell’uomo in particolare, ricondotto all’ambito strettamente scientifico e alle sue metodologie possa motivare una nuova filosofia, con le sue implicazioni etiche e spirituali (come recita il sottotitolo del libro). È un fatto che le prime due rivoluzioni della fisica, pur presentandosi come estensioni della fisica classica e mantenendone in generale la validità come caso limite, hanno indissolubilmente legato la natura degli oggetti fisici alla loro misura e quest’ultima al nostro modo di percepire il mondo. Nasce una nuova ontologia quantistisca, cresciuta sull’ontologia dei processi (alla Whitehead) o degli eventi, sulle quali s’innesta l’Interpretazione di Montevideo della meccanica quantistica. Vorrei aggiungere ontologia dei fatti, ossia degli eventi con rapporti di causa-effetto, o dei processi lontani dall’equilibrio della suddetta terza rivoluzione, riferendomi a un grande assente in questo libro, Ilya Prigogine. Per la verità la mia generazione è approdata alla fisica da licei ancora gentiliani, ottimi in generale ma fermi alle “due culture”, passando attraverso l’elaborazione filosofica recente imposta dalla nuova scienza (involontario il richiamo a Vico, ma forse non tanto): filosofia analitica, neopositivismo, neo-platonismo, operativismo, Whitehead e Russell, Wittgenstein, Reichenbach, Carnap, Bridgman, Copenhagen vs. Bohm, EPR vs. Bell, e via dicendo alla rinfusa. Come proprietà emergente da tale complessità di vedute, raggiungiamo alla fine di questo libro un edificante neo-monismo, Spinoza redivivo per una teologia senza metafisica (a parte il presupposto), o meglio con quella larvata, implicita metafisica che Whitehead rintraccia nell’opera di ogni scienziato. Se nella fisica classica il presupposto metafisico riguarda un’ontologia degli oggetti secondo lo schema atomistico (punti materiali e loro interazioni a distanza), nella fisica moderna si afferma appunto un’ontologia dei campi e dei processi, in primis la misura. L’operativismo appare come la naturale conseguenza, ma anche la nozione di proprietà emergenti nei sistemi complessi, non riducibili ai fondamenti secondo il lapidario more is different di P. W. Anderson, riflette questa nuova ontologia.

Gli autori, dopo averci guidati in dodici capitoli attraverso il significato e le profondità filosofiche delle rivoluzioni scientifiche degli ultimi 150 anni, da eccellenti cosmologi quantistici indagano sulle ragioni di trovarci in un universo ospitale, discutendo il fine tuning delle costanti fisiche fondamentali come causa della presenza della vita e quindi dell’uomo. Qui ho molta difficoltà a immaginare che esista un fisico teorico in grado di calcolare, disponendo di costanti fondamentali un po’ diverse, come sarebbe la materia, dai suoi minimi costituenti alle forme condensate, e come da qui potrebbero (o non) nascere forme complesse auto-organizzate, etc., etc. Abbiamo esperienza nella dinamica nonlineare di biforcazioni che, da un infinitesimo cambiamento dei parametri conducono a forme radicalmente diverse. Per questo non intendo cosa siano il “principio antropico” nei suoi due livelli, e ancor meno l’”intelligent design”, se non l’implicita riassegnazione all’uomo di uno status speciale nella natura: così speciale da consentirgli di elogiare il suo creatore per aver fatto un lavoro intelligente! Si è forse insinuato nella scienza moderna il larvatus prodeo cartesiano con una nuova forma di dualismo?

L’universo ospitale dei nostri autori, fine tuning a parte, evita questo rischio rintracciando nel suddetto monismo spinoziano, ora Natura sive Deus, il contesto evolutivo che dalla primigenia inflazione porta spontaneamente alla vita, uomo compreso con tutte le sue complesse funzioni cerebrali. L’identificazione natura-divinità, in antitesi al dualismo cartesiano, implicherebbe una teleologia della natura, ma sembra presunzione pensare che ne siamo noi umani il fine. Anche Martin Rees è stupito che con solo sei costanti fondamentali si possano spiegare l’universo che conosciamo e l’infinita variabilità delle specie viventi, ma pronostica anche che questo potrebbe essere l’ultimo secolo del genere umano. Il mondo andrà avanti lo stesso, forse spianando la strada all’evoluzione di un’altra specie più intelligente e più saggia (si spera) dell’Homo sapiens. L’esigenza di recuperare un contesto filosofico-teologico funzionale anzichè antitetico alla scienza moderna nasce dall’opinione degli autori che l’avanzamento delle scienze nel sec. XIX, in particolare il lavoro di Darwin, avendo messo in crisi molte credenze e valori fondati sulla religione, sia stata una causa del sucessivo nichilismo filosofico e letterario. È un fatto che il progressivo riconoscimento dell’antichità della Terra e della vita, rispetto alla quale (per dirla con Buffon) la presenza umana è solo un punto, nonchè le dispute tra nettunisti e saturnisti sui meccanismi geologici, risalgono all’epoca dei Lumi. Per questo il nichilismo, oltre che ai rivolgimenti sociali e politici del tempo e alle filosofie di sostegno (in particolare il materialismo) è forse imputabile allo sviluppo della psicologia e psicoanalisi che hanno esteso il metodo scientifico alla sfera spirituale, ritenuta immortale. Se da un lato la perdurante separazione delle due culture, riflesso di un dualismo in via di demolizione, era causa del crescente nichilismo filosofico e letterario, sul lato opposto cresceva il generale ottimismo di fine ‘800 alimentato dal progresso delle scienze e dall’apprezzamento dei suoi primi benefici (energia elettrica, illuminazione, industria, infrastrutture, trasporti, progressi della medicina, etc.).

L’evoluzione in sè è un dato di fatto e Darwin non ha formulato una teoria, ma proposto un modello (che funziona) col quale interpretare delle osservazioni scientifiche. La promozione a teoria scientifica o addirittura a posizione filosofica con tanto di -ismo è spesso ordita a fini denigratori. Non saprei dire cosa sia il neo-darwinismo, come non immagino un neo-maxwellismo o un neonewtonianesimo. Detto questo è un fatto che l’evoluzione dell’uomo come animale sociale proviene da una necessità di sopravvivenza, e l’allargamento territoriale dell’economia ha esteso la socialità dall’ambito tribale a quello globale, e le regole di comportamento si sono evolute nel corso dei millenni dai codici di Hammurabi ai trattati internazionali. L’etica ha quindi una base biologica evolutiva. Rispondere a una divinità dei propri atti anziché alla società non costituisce per definizione un’etica. Per questo concordo con il sottotitolo del libro che il progresso delle scienze, ivi compresi il grande lavoro di Darwin e la conseguente antropologia, possa avere importanti conseguenze nella sfera etica e spirituale dell’uomo e della società. Come si coglie nell’ultimo capitolo del libro e nelle sintetiche conclusioni, la crisi nichilista nasce dalla rimozione della parte spirituale e quindi della speranza di immortalità, fondamento di ogni religione naturale. Il contesto spinoziano e l’emozionante citazione di un passo di Hans Jonas propongono finalmente una diversa e gratificante definizione di immortalità.


Giorgio Benedek
Università di Milano Bicocca


Rodolfo Gambini (with the collaboration of Jorge Pullin)
A Hospitable Universe
Addressing ethical and spiritual concerns in light of recent scientific discoveries
Imprint Academic, Exeter, 2018
pp. 308; $ 39.90
ISBN 9781845409647