Luna Rossa

Massimo Capaccioli

La conquista sovietica dello spazio

Il cinquantesimo anniversario dello sbarco umano sulla Luna ha dato occasione alla pubblicazione (e ripubblicazione) di numerose opere sulla conquista dello spazio. Luna Rossa è diverso da tutte queste, perché, pur non trascurando quanto avveniva negli Sati Uniti, è focalizzato sull’avversario, l’Unione Sovietica.

Per prepararlo, Capaccioli, oltre a mettere a frutto la sua lunga esperienza di collaborazione con scienziati della Russia e dell’Ucraina, ha compiuto un enorme lavoro di indagine e studio critico delle numerose fonti di carta stampata e reperibili in rete. Ciò è anche testimoniato dalle nove pagine di bibliografia ragionata alla fine del volume, utilissima per chi voglia approfondire aspetti della storia.

La competizione per la conquista dello spazio si sviluppò senza esclusione di colpi per oltre mezzo secolo tra le due superpotenze che dominavano il Pianeta, un’alternativa forse al rischio di avvicinarsi troppo alla distruzione, con quello nemico, del suo stesso popolo. L’impresa spaziale ebbe rilevantissimi aspetti politici, militari e propagandistici, ma ha anche stimolato l’innovazione tecnologica e l’industria di diversi settori e, soprattutto dopo la fine della guerra fredda, ha permesso di sviluppare nuovi potenti strumenti scientifici.

L’autore narra la storia come un romanzo, scrivendo con uno stile preciso, avvolgente e ricco di spirito. Ciascun personaggio è presentato con episodi della sua storia personale ed il suo carattere è tratteggiato in modo da farcelo apparire con i suoi pregi e i suoi difetti, con le sue gioie e i suoi dolori, nella sua umanità. Sullo sfondo gli eventi storici, dopo la fine della seconda guerra mondiale, gli episodi della guerra fredda, i grandi leader del PCUS e degli Sati Uniti, le scaramucce e le guerre alle periferie dei due imperi.

Il primo che veniamo a conoscere è Konstantin Eduardovič Ciolkovskij (nel libro si impiega la traslitterazione scientifica dei caratteri cirillici), che pubblicò nel 1903, l’anno del primo volo dei fratelli Wright, Esplorazione degli spazi cosmici con razzi a propulsione, che “segnò, a detta degli storici della cosmonautica, lo spartiacque tra la stagione delle fantasia e dell’autentica era spaziale”. Sullo sfondo la Russia Zarista, in cui già nascevano i primi fermenti rivoluzionari, gli studi a Mosca e la vita nella gelida ondulata campagna della grande Russia.

Grazie all’impiego di razzi potremo in futuro, prevedeva Ciolkovskij, mettere piede sul suolo degli asteroidi, prendere in mano un sasso lunare, costruire stazioni mobili nello spazio, formare anelli viventi attorno alla Luna, alla Terra, al Sole, osservare Marte da qualche decina di chilometri, andare sui suoi satelliti o perfino sulla sua superficie. E Capaccioli, con l’occhio del fisico, spiega con linguaggio accessibile i dettagli del funzionamento della propulsione a razzo, sia nell’aria sia nel vuoto.

Nel secondo capitolo incontriamo un altro pioniere, il fisico americano Robert Goddard, di cui leggiamo la vita, le ricerche e gli esperimenti, su modelli di razzi e successivamente su razzi veri (dopo una gustosa digressione sui razzi sviluppati in Cina sin dal XIII secolo e i vari “trucchi” tecnici che i cinesi avevano scoperto). Anch’egli sognatore, Goddard si permise di calcolare “la massa minima [di propellente] richiesta per sollevare una libbra [di carico] a un’altezza infinita”, e quindi cadere sulla Luna, e venne per questo deriso sulla stampa. Ma riuscì ad avere i notevoli finanziamenti ormai necessari per il progresso della disciplina, dal Fondo, privato, per la promozione dell’aeronautica, creato dal finanziere Daniel Guggenheim.

Nel terzo capitolo si torna in Germania, “a valle di una efferatissima guerra mondiale e di una pace iniqua”. Narrato lo sfondo storico, la rivoluzione d’Ottobre e il revanscismo tedesco, incontriamo due ingegneri tedeschi, Hermann Oberth, che accese l’interesse per la missilistica in Germania e Wernher von Braun. Di questo tutti conosciamo il nome e l’essere stato colui che creò le micidiali V2 a Peenemünde, con le quali Hitler inflisse enormi lutti all’Inghilterra. Ma non conosciamo i dettagli della storia, sia umana sia scientifica delle due vite dell’ingegnere. “Il von Braun di Peenemünde”, leggiamo, “viene spesso dipinto nelle clip del sapere in pillole come un radioso nibelungo al servizio del demonio, un genio algido e spietato senza altri problemi che la creazione di macchine stupefacenti. Il quadro è vero solo in parte, però, perché chi serve Satana deve stare all’inferno, dove la vita è grama e incerta per tutti, anche per gli ‘angeli caduti’”. Lì, il generale delle SS, Hans Kammler, aveva organizzato il lavoro forzato dei detenuti per la costruzione dei missili.

Ma le conoscenze ed il genio del “nibelungo” erano troppo importanti perché i vincitori della guerra se le lasciassero sfuggire, e fu chiamato in America. Puritani e moralisti sì, ma quando necessario si può chiudere un occhio. Sarà determinante per tutti i programmi, dai missili balistici intercontinentali alla conquista della Luna. Già alla fine degli anni '50 “Nella sua seconda vita non si aggiravano più le ombre dei lager e dei cappelli neri col simbolo del teschio, ma continuavano ad esserci i razzi.”

L’altro genio, l’avversario di von Braun oltre Cortina, fu Sergej Pavlovič Korolëv, cinque anni di lui più vecchio. Lo incontriamo per la prima volta al capitolo 5, ma rimarrà con noi per tutto il libro. Il suo nome è poco noto in Occidente, anche perché la propaganda sovietica, mentre celebrerà vistosamente con l’apoteosi della Piazza Rossa i suoi eroi cosmonauti, come si chiamano in Russia gli astronauti, celerà il lavoro del “progettista capo” nel più assoluto silenzio. Ma ora ci è svelato. Nella pluriennale partita tra i due, il russo e il nuovo americano, sarà il primo a vincere uno a uno tutti i giochi e le partite, tranne, vedremo perché, l’incontro finale.

Korolëv era nato in Ucraina, parte della Grande Russia, e aveva studiato nella “splendida Kiev” prima della rivoluzione. Più tardi, quando ormai impegnato nella missilistica a Mosca, nell’inferno ci fu anche lui, ma come vittima. Nel 1938 fu colpito dalle purghe staliniane e, con la mascella frantumata dal poliziotto che l’aveva arrestato (aveva osato chiedere un bicchier d’acqua), fu spedito in un gulag a nord del circolo polare. Fu liberato nel 1945 quando, finita la guerra, serviva una task force per recuperare nella Germania occupata quante più informazioni e competenze possibili sulla missilistica. L’URSS completerà la prima bomba atomica nel 1949, anche grazie a qualche spia, ma sarebbe servito anche trasportarla, e Stalin agì di conseguenza.

Leggiamo quindi dell’organizzazione di Istituzioni dedicate e dei programmi di sviluppo della missilistica e dell’aeronautica nell’Unione Sovietica prima da parte di Stalin, e, dopo la sua morte nel 1956, di Nikita Sergeevič Chruščëv. Dall’altra parte dell’Atlantico, c’era un altro grande Presidente, Dwight David Eisenhower. Tutte le tappe del lavoro del “progettista capo”, le idee innovative per lo sviluppo di propulsori sempre più potenti e più affidabili ci sono raccontate nei dettagli, e in maniera divertente. La motivazione principale era l’armamento con i missili balistici intercontinentali, capaci di trasportare armi micidiali ovunque sul terreno nemico, come questi faceva da parte sua. Ma, da entrambe le parti, l’impiego per la conquista dello spazio fu immediatamente un secondo obiettivo da perseguire con strutture tecnico-scientifiche dedicate. Il primo colpo al mento assestato da Korolëv e Chruščëv agli americani fu la messa in orbita dello Sputnik. La Terra aveva una seconda, piccola luna, costruita dall’uomo. Era una semplice pallina di acciaio che faceva un bip percepibile chiaramente in tutti i punti della terra. Di nessun interesse militare o scientifico dimostrava al mondo la superiorità del sistema socialista. L’impatto propagandistico fu enorme.

Il secondo colpo fu il volo in orbita del primo essere vivente, la cagnolina Kudryavka (Ricciolina), ribattezzata Laika in Occidente.

Ne leggiamo al capitolo 5, “Cuore di cane”, la precedente vita come randagia a Mosca –“Un ex-clochard con un futuro da eroe dello spazio”– , la selezione, gli allenamenti, per i quadrupedi simili a quelli dei bipedi, il volo, e la tragica fine del povero animale per il non funzionamento dello scudo termico.

Ed ecco il primo uomo, l’”Icaro rosso” del capitolo 6, Jurij Alekseevič Gagarin. Lo conosciamo tutti, ma è interessante leggerne la vita dalle umili origini –fu preferito nella selezione finale a Titov per dimostrare come quel sistema sociale fosse capace “di trasformare un contadino in un’aquila”– , agli allenamenti, al volo il 12 aprile 1961, che ci è narrata con artificio letterario come la sequenza di pensieri di Jurij, già nella capsula in cima al vettore, mentre attende che la preparazione del lancio sia completata. Seguiranno l’avventuroso rientro, gli onori della Piazza Rossa, le responsabilità di icona sovietica, sino alle tristi vicende conseguenza di non aver psicologicamente retto all’enorme fama.

La risposta della NASA non si fece attendere, 23 giorni dopo il volo della Vostok-I, Alan Shepard entrava in orbita a bordo della navicella Freedom-7, ma era solo un buon secondo.

I russi non stavano con le mani in mano, Korolëv migliorava a gran passi le Vostok. Il prossimo colpo fu subito sferrato, nello stesso anno, il 12 luglio, e fu la permanenza in orbita di lunga durata, per testare le reazioni fisiologiche ancora ignote, dell’altra aquila sovietica, Gherman Stepanovič Titov. Dei progressi tecnici, della vita e del carattere di Titov, della scena politica ai due lati della cortina di ferro leggiamo nel capitolo 8, “Avanti popolo”.

L’URSS continuò a battere gli USA ancora nei primi anni '60, sempre sotto la guida di Korolëv, nei passi fondamentali per la conquista dello spazio, e, ovviamente, per la necessaria propaganda: la prima donna nello spazio, Valentina Tereškova di 26 anni, anche lei destinata a un futuro di icona, la prima attività extra veicolare di Aleksej Archipovič Leonov, il primo volo orbitale con più di un cosmonauta –tre, dato che gli americani lavoravano al Gemini per metterne due–, il primo assemblaggio in orbita di un prototipo di stazione spaziale, le sonde depositate sulla Luna e le foto della faccia nascosta, l’esplorazione di Venere e molto altro, accanto a errori e una tragedia nota, insuccessi, invidie e colpi bassi. L’ingegnere capo, Sergej Pavlovič Korolëv, si spegnerà nel gennaio del 1966. Il capitolo 9, “Il canto del cigno” ci narra dei suoi ultimi contributi.

Ma dal gennaio 1961, gli Stati Uniti avevano un nuovo, giovane Presidente, John Fitzegerald Kennedy. Presto dichiarò che il suo Paese avrebbe conquistato la Luna entro quel decennio. E così fu, grazie alla sua visione e alla sua leadership, anche se l’attentato di Dallas gli impedì di vederlo. Per raggiungere l’obiettivo, JFK mise in campo un insieme di risorse e la necessaria struttura di coordinamento, confrontabili per finanziamento e personale impiegato solo al progetto Manhattan, anzi ad esso superiori. L’amministrazione della NASA fu affidata ad un altro gigante, James E. Webb. L’Unione Sovietica non disponeva né delle risorse né della capacità di programmazione sul lungo periodo. Nonostante l’economia di piano, le lotte interne al partito lo impedirono. Leonid Il’ič Brežnev era diventato segretario del partito nel 1963, e certo non aveva le capacità del predecessore.

E si giunge così al capitolo finale, nel quale gli americani vinsero la battaglia più importante, l’uomo sulla Luna.


A. Bettini
Università di Padova


Massimo Capaccioli
Luna Rossa
La conquista sovietica dello spazio
Le Sfere. Carocci Editore, 2019
pp. 240, € 18,00
ISBN: 9788843094974