La prima alba del cosmo
Il fascino degli inizi. Le albe dell’universo e della conoscenza
Siamo talmente abituati dall’attualità della ricerca a concepire la fisica contemporanea come un’indagine sulle origini, che tendiamo a dimenticare quanto questa connotazione sia tutt’altro che ovvia, e relativamente recente. La fisica ha sempre avuto lo scopo di descrivere e comprendere il mondo naturale, di scoprire le leggi che governano i fenomeni, di prevedere gli eventi futuri. Questi sono ancora, essenzialmente, i suoi obiettivi. Quand’è dunque che essa ha cominciato ad avere a che fare con l’origine delle cose (intesa nella duplice accezione di inizio e di causa)?
Fino ai primi decenni del secolo scorso (lo testimonia il Great Debate tra Harlow Shapley e Heber Curtis, di cui ricorre quest’anno il centenario), molti credevano che l’universo si riducesse alla Via Lattea, e l’unica origine scientificamente concepibile era quella del Sistema Solare – peraltro di pertinenza più degli studiosi di meccanica celeste che dei fisici. Tutto cambiò con le osservazioni di Hubble, con la cosmologia relativistica (Lemaître, Friedmann, Robertson) e con la teoria del Big Bang: l’universo si rivelò un’entità dinamica, in evoluzione a partire da uno stato iniziale estremamente denso e caldo, e la sua storia – una lunghissima traversata dello spazio e del tempo – divenne una ricapitolazione della fisica fondamentale.
Questa storia è raccontata brillantemente da Roberto Battiston in un saggio divulgativo che vibra della passione scientifica del suo autore. Sebbene il titolo faccia riferimento solo alla prima alba, nel libro ne sono illustrate tante: tutte le “albe” che hanno contrassegnato la vita del cosmo. A cominciare dal Big Bang, che è un’alba sui generis, perché segna l’inizio del tempo e non è quindi preceduta da un “tramonto” (a meno che non abbiano ragione i modelli cosmologici ciclici). A distanza di quasi 14 miliardi di anni, siamo in attesa di osservare i suoi bagliori, fatti non di luce, ma delle onde gravitazionali prodotte in abbondanza nei primi istanti di vita dell’universo. Circa 380000 anni dopo il Big Bang c’è finalmente un’alba luminosa, quella che ci ha lasciato in eredità – nel momento in cui la luce cominciava a circolare liberamente – il fondo cosmico di microonde.
Man mano che il tempo passa, le albe cosmiche diventano sempre più simili a quelle a cui siamo abituati: ci vogliono centinaia di milioni di anni per vedere l’alba della prima stella (ed è curioso pensare che alla formazione delle strutture che hanno permesso la comparsa delle sorgenti luminose in cielo abbia contribuito in maniera determinante la materia oscura), e poi, quattro miliardi e mezzo di anni fa, sorge finalmente il Sole, con il suo corteo di pianeti (su uno dei quali, poco tempo dopo, comincia un’altra importante storia, con l’origine della vita).
L’alba, vista come una “tensione fra l’apparire di una cosa nuova e il suo non essere ancora pienamente realizzata”, è anche – osserva Battiston – una metafora della ricerca scientifica, che è “un continuo affacciarsi a nuove risposte che conducono a nuove domande”. Al romanzo dell’universo si intreccia così il racconto dello sforzo umano per comprenderlo. Protagonista della fisica particellare e astroparticellare degli ultimi decenni, Battiston narra in prima persona gli sviluppi verificatisi a cavallo del secolo, che hanno portato dalla conferma del Modello Standard (con l’osservazione dei bosoni W e Z e della particella di Higgs) alla ricerca di segnali al di là di esso, in grado di far luce sulla composizione della materia oscura e sull’origine dell’asimmetria cosmica tra materia e antimateria.
L’altra grande passione professionale di Battiston, lo spazio (ricordiamo che è stato presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana dal 2014 al 2018), ci conduce verso albe ancora diverse, fuori dai confini terrestri. Quanto dovremo aspettare prima che un uomo e una donna vedano sorgere il Sole su Marte? Forse non molto, se Elon Musk e SpaceX centreranno il loro obiettivo. Oggi sappiamo che ci sono anche tanti pianeti extrasolari dietro l’angolo. Proxima Centauri b, per esempio, è a poco più di 4 anni luce da noi. Nessun astronauta lo raggiungerà mai, ma una picosonda a vele solari come quelle immaginate dal progetto Starshot di Yuri Milner potrebbe andare da quelle parti e fare una foto di una splendida alba con tre Soli. La riceveremmo dopo quattro anni, ma la pazienza sarebbe sicuramente ripagata.
Nell’ultimo capitolo del libro – L’alba del futuro – lo sguardo dell’autore va ai prevedibili progressi delle scienze e dell’intelligenza artificiale. “L’alba che intravediamo – scrive Battiston – ci sta già portando verso un mondo dove – a meno di seri imprevisti come guerre globali o catastrofi naturali – l’innovazione scientifica e tecnologica continuerà a crescere in maniera esponenziale, ma i risultati verranno gestiti in misura preponderante sfruttando sofisticati sistemi di calcolo”. Sarà una sfida epocale, da affrontare – è il suo auspicio conclusivo – con più educazione e più cultura, fondando un “nuovo umanesimo”, che indichi alle generazioni che verranno il giusto modo “di cavalcare il potere dato dalla conoscenza, unendolo e non separandolo dalla riflessione sul nostro destino comune”.
Vincenzo Barone
Università del Piemonte Orientale e INFN
- Roberto Battiston
- La prima alba del cosmo
- Rizzoli, Milano. Collana Saggi, 2019
- pp. 256; € 19,00
- ISBN: 9788817141901